Preoccupa non solo chi ha a cuore la libertà d’informazione in Italia e il ministro della Giustizia Severino, ma anche il Consiglio d’Europa, quanto accade al Senato sulla legge che riguarda la diffamazione a mezzo stampa, dopo che la pena del carcere è rispuntata grazie al voto segreto di un emendamento della Lega sostenuto dall’Api di Rutelli. Una legge nata male, tra pulsioni di vendetta da una fetta trasversale del Parlamento, e sulla quale il governo starebbe elaborando un decreto legge «minimale» per l’abolizione del carcere, da sostituire con sanzioni pecuniarie.
Dopo il blitz di martedì nell’aula di Palazzo Madama il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, esprime «grande preoccupazione». Mantenere il carcere sarebbe un «grave passo indietro» e un «messaggio negativo ad altri paesi europei in cui la libertà dei media è seriamente minacciata». Il paradosso è che la legge è stata pensata proprio per evitare che Alessandro Sallusti andasse in carcere. Ora rischia davvero, 19 novembre scadono i trenta giorni dalla notifica. Il direttore del Giornale ieri ha scritto un durissimo editoriale: «Mi fate ridere e pena», ha detto ai leghisti e a Maroni (che gli ha mandato un libro con dedica), senza risparmiare Rutelli, ma anche il Pd e il Pdl.
Da Strasburgo Muiznieks sperava che la diffamazione fosse depenalizzata «portando così l’Italia in linea con gli standard del Consiglio d’Europa». Prevedono che i giornalisti «non devono andare in carcere per le notizie date, e la diffamazione dovrebbe essere sanzionata solo attraverso misure proporzionate previste nel codice civile». Quindi se restasse così la legge verrebbe bocciata in Europa.
La frittata (della vendetta) è fatta e il ddl tornerà in aula al Senato martedì, ha deciso una riunione fiume dei capigruppo. Ma l’auspicio, e la battaglia, del Pd è che la legge pasticcio finisca su un binario morto in commissione e decada. Ma per il Pdl Gasparri propone l’ennesimo emendamento per tenere in piedi la legge e levare il carcere (salvando Sallusti), il relatore Berselli, se pur recalcitrante, sta riscrivendo il testo di nuovo ma tenendo conto del parere europeo.
Una via d’uscita quindi potrebbe essere quella di un decreto del governo a cui segua una norma più ragionata dal Parlamento. La Guardasigilli Paola Severino auspica «che possa riprendere il dibattito parlamentare che porti a un consolidamento della linea dell’esclusione del carcere e un miglioramento delle misure a garanzia da una parte del diritto-dovere di informare e dall’altra del diritto di riparazione, come la rettifica».
Per il leader Pd, Pierluigi Bersani, «non è accettabile» la pena del carcere, però aggiunge: «Non posso dimenticare che il buon nome dei cittadini deve essere preservato», quindi è necessaria una «soluzione di responsabilità, certamente non con lo strumento del carcere». Dura la polemica tra Francesco Rutelli e Franco Siddi, segretario della Federazione della Stampa. Il leader dell’Api, avvelenato per la vicenda Lusi, nella sua dichiarazione di voto martedì ha detto che «in tutte le democrazie europee è previsto il carcere per le diffamazioni gravi, oppure sanzioni pecuniarie severe», a queste non rinuncia e sul carcere ha votato sì. Ma in Europa, come si è visto, la pensano diversamente.
Pronte a mobilitarsi sono anche le giornaliste di Giulia: «Quanto accaduto al Senato, nella cui aula siedono 39 indagati, con lo schermo del voto segreto su un emendamento proposto da Api e Lega, e votato a maggioranza, è vergognoso».
L’Unità 15.11.12
Pubblicato il 15 Novembre 2012