attualità, cultura, pari opportunità | diritti

“In una villetta i resti di due donne scomparse otto anni fa”, di Conchita Sannino

Castel Volturno, i corpi in un’intercapedine Indagati i mariti, uno vive nella casa Era nel ripostiglio del “misantropo”, la tomba di due donne innocenti e mai cercate in otto anni. I loro cadaveri erano dietro quel bocchettone ad altezza di giardino, allo stesso livello dell’erba curata quasi ogni giorno dal vecchio. Uno solo, dei sei ridottissimi varchi che portano al sotterraneo dell’abitazione, era stato murato con il cemento, col pretesto dell’umidità, la vicinanza del litorale domizio. Perché? Quando l’occhio di un poliziotto è finito su quella strana ostruzione, ieri mattina, mentre a decine intervenivano con il georadar e l’intenzione di non uscire di lì senza una soluzione, il giallo che durava da troppo tempo a Castel Volturno imbocca finalmente la svolta.
Così nel paesone costiero delle stragi di camorra e dei camping per famiglie, dei rifugi per latitanti e degli scivoli acquatici, riemergono i due poveri corpi di Elisabetta Grande e di sua figlia Maria Belmonte. Ridotti ormai a un mucchio di ossa, sono tornati alla luce dal buco nero, di ferocia orrore ignoranza, a cui li avevano condannati i loro carnefici. Doveva sembrare una scomparsa, datata 2004. Era quasi un delitto perfetto.
Sotto inchiesta, per omicidio e soppressione di cadavere, finiscono i due mariti. Domenico Belmonte, 72 anni, proprietario della villa, che tutti qui chiamano “il depresso” o “il misantropo”, medico in pensione, ex direttore sanitario del carcere di Poggioreale, negli anni Sessanta aveva sposato Elisabetta, maestra calabrese, venuta a Napoli con lui, poi padre di Maria; e Salvatore Di Maiolo, 45 anni, che per quasi dieci anni è stato il marito di Maria, ma prima e dopo la separazione è rimasto saldamente accanto al Belmonte. Entrambi sono stati trattenuti e interrogati fino a notte nella questura di Caserta. Tutti e due hanno negato fino all’ultimo i sospetti del nutrito pool che si alternava di fronte ai loro sguardi calmi, il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere Luigi Gay, il sostituto Silvio Guarriello, il vicequestore Angelo Morabito della Mobile, il vicequestore Vincenzo Nicolì del Servizio centrale operativo del Viminale.
Eppure, quanti indizi. I due cadaveri infilati nell’intercapedine della villa abitata da Belmonte ma frequentata anche da Di Maiolo. La Citroën verde di Elisabetta rimasta sempre piantata nel giardino dei misteri, e addirittura la pensione dell’anziana docente che si accumulava sul conto corrente. Di fronte a tutto questo, il vecchio Belmonte, alzava le spalle: «Se ne sono andate volontariamente ». Lui non aveva mai denunciato la scomparsa. Aveva scelto la data: «Il 18 luglio 2004, mi pare una domenica».
Com’è stato possibile lasciare che una tale storia fosse stata considerata una semplice scomparsa, fino a poco fa? È la tenacia del fratello di Elisabetta, il medico Lorenzo Grande, a ottenere giustizia. L’uomo, che risiede in Calabria,
sembra che avesse denunciato nella sua regione i primi dubbi. Solo ad agosto scorso, Lorenzo porta la sua denuncia a Castel Volturno. Belmonte finisce sotto osservazione e l’istruttoria accelera mentre si riaccendono i riflettori di
Chi l’ha visto?, la trasmissione in cui Lorenzo torna a proporre il suo sgomento. Quei due uomini, il misantropo che vive da solo e sfugge chiunque, e il suo autista-factotum, perché non parlano? Perché non si sono mai chiesti che fine sia toccata alle loro donne?
Una strana simbiosi li lega. Salvatore è legato da timore reverenziale a Domenico, tuttora lo accompagna in giro. Inizialmente tutti e tre, Domenico come direttore sanitario del penitenziario, la figlia come infermiera nel carcere, e Salvatore come factotum, finiscono per lavorare insieme, almeno fino al Duemila. Fino a quando esplodono gli attriti tra le coppie. Belmonte, che intanto è sfiorato da indagini interne al carcere di Poggioreale, cade in depressione, lascia il lavoro, va a vivere a Napoli. Elisabetta e Maria, madre e figlia, entrano nella loro villa a Castel Volturno. Poi Maria si separa da Salvatore, sta male, addirittura tenterebbe il suicidio. Elisabetta, ormai anziana, è preda di malattie e depressione. Quindi Domenico lascia Napoli e le raggiunge vicino al mare. L’ultima traccia della loro esistenza è del gennaio 2004. La figlia scrive allo zio in Calabria, lo prega di risolvere alcune grane sull’eredità perché ha bisogno di denaro per curare sua madre. Si indovina, in quelle parole, la cappa di solitudine e disagio in cui sono piombate. Ben presto, quella villa sarà la loro tomba. E i carnefici, comunque si chiamino, l’avevano quasi fatta franca.
La Repubblica 14.11.12