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“La patrimoniale si paga già in Francia e Svizzera. Berlino punta a quota 2 milioni” di Giuditta Marvelli

Francia e Svizzera ce l’hanno da sempre. La Spagna l’ha resuscitata per far fronte alla crisi. La Germania l’ha dismessa nel 1997, ma alcune forze politiche vorrebbero rimetterla in pista, come accade anche in Austria. La Gran Bretagna non l’ha mai avuta: e ora ci pensa. La patrimoniale è tornata di gran moda e fa capolino nei dibattiti politici di molti Paesi europei. L’accenno («nessun annuncio», ha precisato il premier) fatto ieri da Mario Monti a una tassa sul valore complessivo della ricchezza posseduta dagli italiani si inserisce quindi in un filone internazionale assai prolifico.
In realtà l’Italia — che non figura tra gli Stati titolari di una vera e propria patrimoniale sistematica — ha adottato per il momento uno «spezzatino» di genere. Nell’ultimo anno, infatti, oltre all’Imu (la patrimoniale sugli immobili che ha sostituito l’Ici), è arrivata anche la «patrimonialina» sui rendiconti degli investimenti finanziari, pari allo 0,1% nel 2012 e allo 0,15% a partire dal 2013, con un minimo di 34,2 euro.
Ma come sono quelle degli altri? Nell’euro brilla il caso francese. Con un nome che sembra uscito da un romanzo di Honoré de Balzac, impôt de solidarieté sur la fortune, si chiede di più ai contribuenti benestanti con beni mobili e immobili da 1,3 milioni di euro in su. Nell’imponibile case, investimenti, polizze sulla vita, barche, aerei da turismo, cavalli da corsa e gioielli, non le opere d’arte e i beni produttivi. L’imposta, introdotta nel 1981 da François Mitterrand e addolcita da Nicolas Sarkozy, è stata appena rinvigorita da François Hollande, con un’aliquota dello 0,55% per i possedimenti compresi tra 1,3 e 3 milioni di euro e dell’1,8% per chi va oltre i 3 milioni. Nel 2011 ha messo nelle casse del Fisco 4,4 miliardi di euro. Ora, se il piano di Hollande funziona, dovrebbe rendere di più. L’applicazione è complessa e prevede delle franchigie per chi supera di poco le soglie minime che fanno scattare le diverse aliquote.
Di un meccanismo simile si è discusso negli ultimi mesi anche sul tavolo politico della Germania. Alcuni deputati della Spd (il partito social democratico tedesco) vorrebbero reintrodurre dal 2014 la tassazione sui patrimoni superiori a 2 milioni di euro, con un’aliquota dell’1%. Anche in questo caso ci sarebbero delle franchigie per rendere meno duro l’impatto della tassa. «Per i tedeschi si tratterebbe di un revival — spiega Giuseppe Corasaniti, professore associato di diritto tributario nell’Università di Brescia — . La patrimoniale, Vermögensteuer, che colpiva immobili e attività finanziarie fu infatti bocciata dalla Corte costituzionale tedesca nel giugno del 1995». In seguito allo stop, dovuto alla disparità di trattamento nella valutazione di beni immobili, più favorevole rispetto alle attività finanziarie ai fini della determinazione dell’imponibile, l’imposta non fu più prelevata a decorrere dal 1997. Nel piano della Spd si tasserebbero si persone fisiche che società, con una previsione di gettito pari a 11,5 miliardi, l’1,8% del Pil tedesco.
Anche gli svizzeri e i norvegesi pagano una patrimoniale sulla ricchezza: nella Confederazione ogni cantone decide aliquote e franchigie. In Norvegia si paga a partire da 700 mila corone (circa 100 mila euro): una tassazione ad ampio raggio rispetto al modello francese, giustificata dal fatto che il prelievo sui redditi è piuttosto basso (28%). «Tra gli Stati che hanno provvisoriamente stabilito una patrimoniale per fra fronte alla crisi del debito c’è la Spagna», spiega uno studio a cura dello studio associato Bernoni di Milano. Si versa oltre i 700 mila euro con aliquote comprese tra lo 0,2% e il 2,5%. A mitigare il tutto, un’esenzione sul valore della prima casa.
Il Corriere della Sera 13-11-12

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