Meglio così, sulla patrimoniale: mettere le carte in tavola subito, prima che avveleni la campagna elettorale. Oportet, come dicevano i professori di latino. A parte l’equivoco di comunicazione iniziale, le parole di Mario Monti ieri possono aiutare a discutere in modo più posato. Alla destra, pronta ad agitare lo spauracchio dell’esproprio, il presidente del Consiglio ricorda che imposte pa trimoniali esistono in molti Paesi «estremamente capitalisti» e si può proporle anche per motivi di efficienza dell’economia di mercato.
Alla sinistra, ricorda che parecchio in questo campo il suo governo lo ha fatto, con l’Imu, la tassa sugli yacht, il prelievo aggiuntivo sui capitali «scudati», e che andare oltre è in parte rischioso, in parte arduo: tassare i patrimoni finanziari può farli fuggire all’estero, mentre altre ricchezze, come oro e gioielli, al fisco non sono note.
Nell’insieme, secondo dati Ocse, nel 2011 le imposte sul patrimonio pesavano per il 4,1% del prodotto lordo in Gran Bretagna, 3,7% in Francia, 3,5% in Canada, 3% negli Stati Uniti, 2,8% in Giappone, solo il 2,2% in Italia. Con l’Imu, ora, ci siamo portati più in linea con gli altri.
Tassare i patrimoni ha motivi sia di equità sia di efficienza. Di equità, perché i patrimoni sono più inegualmente distribuiti dei redditi (la ricchezza si eredita), e in Italia i patrimoni privati sono particolarmente consistenti rispetto ai redditi. Di efficienza, perché colpire i patrimoni scoraggia poco o nulla l’iniziativa economica e la produzione di nuovo reddito.
Fin qui i dati. Dopo, ci sono i sogni di «far piangere i ricchi» da una parte, le paure irrazionali dall’altra, spesso più intense in chi detiene patrimoni piccoli e non può facilmente occultarli. Inoltre, svariati tecnici non catalogabili politicamente hanno proposto forme di maxi-patrimoniale straordinaria tale da ridurre una volta per tutte il peso del debito pubblico italiano.
Con la sfiducia nei meccanismi di decisione politica che circola nel Paese, per una operazione straordinaria tipo «oro alla patria» mancano i requisiti di base. Quanto ai patrimoni finanziari, in astratto una maggiore tassazione può apparire equa. Ma far parte di una unione monetaria reputata instabile dai mercati è la situazione peggiore per adottarla.
L’esperienza del luglio 1992, con il prelievo del 6 per mille sui depositi bancari, fu negativa: impopolarità somma per il governo («continuano ancora a rimproverarmelo quando cammino per strada» usa dire Giuliano Amato, che lo decise) e una accresciuta insicurezza che forse contribuì al successivo crollo della lira in settembre, invece di evitarlo.
Non dimentichiamo però che esistono anche forme di prelievo patrimoniale occulto. Il peggiore, e pesantissimo, sarebbe uscire dall’euro. Il ritorno alla lira, con inevitabile default finanziario, ridimensionerebbe brutalmente sia i patrimoni sia, attraverso l’aumento dei prezzi, i redditi.
La Stampa 13.11.12
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“Monti e il giallo sulla patrimoniale: lancia il sasso e nasconde la mano”, di Raffaella Cascioli
In una nota palazzo Chigi smentisce che sia allo studio la tassa sui patrimoni che piace al Pd. Una patrimoniale «generalizzata». Non un blitz notturno. Non una misura che favorisca l’allontanamento dei capitali. Nessuna volontà di mettere in fuga gli investitori con una tassa non equa. Contrordine: nessun intervento di tassazione sui patrimoni. Nessun annuncio di una patrimoniale alle porte. Il tutto mentre da Monti arriva una dichiarazione di guerra all’evasione alla vigilia dell’esordio del nuovo redditometro.
A poco più di un mese da un altro annuncio, timido ma anche allora esplicito, sulla prima tappa per un calo delle tasse entro la legislatura, poi smentito con una nota ufficiale di palazzo Chigi ma successivamente concretizzatosi nella legge di stabilità varata dal governo, il presidente del consiglio Mario Monti torna sul tema fiscale. Di nuovo. Proprio mentre in parlamento si discute la delega fiscale, appprodata in commissione bilancio della camera, e la legge di stabilità con un non ancora ben compreso scambio fiscale, in via di licenziamento da parte della commissione bilancio sempre della camera. E, proprio come ad ottobre, l’intervento-annuncio del premier è seguito dalla consueta nota esplicativa di palazzo Chigi che sottolinea come Monti «non ha affatto annunciato un intervento di tassazione sui patrimoni».
Intervistato al forum del Financial Times a Milano, Monti – che ha detto senza mezzi termini che «non mi piacerebbe di rimanere premier» e ha ricordato come gli euroscettici che siedono in parlamento hanno messo a rischio a volte il governo («sono stato accusato di essere un servo sottomesso alla cancelliera Merkel») – spiega a metà tra passato e futuro, le intenzioni che un anno fa circa lo spinsero ad escludere un intervento sui conti correnti nel salva-Italia e quelle che oggi non lo vedono contrario a una tassa patrimoniale. «Dipenderà – ha spiegato Monti – da come funzionerà e da come sarà utilizzata: come strumento fiscale o come misura una tantum da parte di governi che vogliono dare un taglio al passato». Il problema, e Monti da economista lo sa bene, è che il capitale è di per sé mobile e segue una tassazione più conveniente, come bene sa la Francia di François Hollande. Non è un caso che, come peraltro ha ieri ricordato, a dicembre dello scorso anno si è deciso di reintrodurre una patrimoniale sugli immobili (Imu) che oggi grava anche sulla prima casa. Le case non si trasferiscono all’estero, i capitali sì. A meno di un blitz notturno come fu quello operato da Giuliano Amato sui conti correnti giusto vent’anni fa. E di blitz notturni Monti non vuole sentir parlare. Semmai, ha spiegato, ha un approccio laico a questo tipo di tassazione che lo spinge a sdrammatizzare: «La tassa patrimoniale esiste già in alcuni paesi estremamente capitalistici». Tanto è bastato perché da palazzo Chigi si è intervenuti con una nota per specificare che Monti ha parlato di patrimoniale «come spiegazione delle decisioni allora adottate, non come premessa di futuri interventi ».
Eppure che la patrimoniale, tanto più dopo l’annuncio dell’appena rieletto presidente Usa Obama di voler aumentare le imposte ai ricchi, sia in cima alla lista delle cose da fare del centrosinistra, almeno di una parte consistente del Pd, non c’è dubbio. Che l’efficacia di una patrimoniale tout court senza essere inserita in una rivisitazione complessiva della tassazione sui redditi sia minima è innegabile. Soprattutto quando nella legge di stabilità non c’è ancora chiarezza su quale direzione, prima di tutto fiscale, si intende intraprendere. Già perché respinto il mix di aumento ridotto dell’Iva e riduzione delle prime due aliquote Irpef proposto dal governo, al momento si sarebbe circoscritto l’aumento dell’aliquota Irpef a quella ordinaria mentre dal 2013 sarebbe istituito un fondo per il calo delle tasse alimentato con le maggiori entrate della lotta all’evasione, dal calo degli spread e dalla riduzione degli sconti fiscali.
da Europa Quotidiano 13.11.12
Pubblicato il 13 Novembre 2012