Oggi si discuterà su chi è stato il più bravo, chi il più affidabile, chi il più aggressivo, chi il più mediatico. Si discuterà e ci si dividerà, com’è normale. Ma al di là delle pagelle, il confronto tv di ieri sera tra i cinque candidati alla premiership del centrosinistra è stata una grande prova di vitalità politica in uno dei momenti più confusi dell’Italia. In un paesaggio nel quale ogni singolo elemento del sistema è sottoposto a una micidiale forza centrifuga, la sfida delle primarie diventa quasi un fattore di sicurezza democratica.
Anche con tutti gli scontri e i toni aspri che ha avuto finora e che si sono ripetuti in diretta tv. Per la prima volta infatti, come si è visto, la leadership è davvero contendibile e la partecipazione degli elettori e il loro voto avranno un peso non scontato. E chiunque vincerà ai gazebo avrà in cassaforte un patrimonio di energia e di passione che sarà utile nella campagna elettorale e nel lavoro di ricostruzione del Paese. Se ci guardiamo attorno – tra le convulsioni del Pdl, gli editti di Grillo e le divisioni che attraversano il Centro – è sicuramente un segnale importante di dinamismo. Ma c’è un altro aspetto che rende quel confonto la prova che l’Italia può farcela a cambiare. Questa volta, infatti, la politica ha riconquistato, anche in tv, il suo spazio vero: quello della battaglia delle idee, del confronto-scontro sui programmi e sulle scelte strategiche, del coinvolgimento dei cittadini. Si è creata attenzione e tensione non per le malefatte di un Fiorito o di un Daccò né per le urla «sono tutti uguali» che agitano tanti talk show e nemmeno per i guai combinati da Berlusconi. È accaduto invece per una sfida tra cinque aspiranti candidati premier che hanno parlato del Paese, si sono punzecchiati e si sono giocati le loro carte con intelligenza o con astuzia. E dall’altra parte dello schermo gli spettatori-elettori erano lì, questa volta, per ascoltare qualcuno che si occupasse finalmente dell’interesse generale e non di qualche inconfessabile interesse privato. Se il Pd e il centrosinistra fossero più consapevoli di avere questa marcia in più, che può far bene a se stessi e soprattutto all’Italia, forse il nostro orizzonte già oggi sarebbe meno nuvoloso di quel che è.
L’Unità 13.11.12
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“Bersani: «Primo, mai più condoni». Scontro Vendola-Renzi”, di di Maria Zegarelli
All’inizio un po’ tesi, poi sempre più sciolti. Scintille fra Matteo Renzi e Nichi Vendola, pragmatico e conciso Pier Luigi Bersani, sobria e critica con il governo Monti Laura Puppato nel suo completo nero bordato di bianco, disinvolto Bruno Tabacci. Rossa la cravatta del leader Pd, viola quella del sindaco fiorentino, grigia quelle del governatore pugliese e dell’ex assessore milanese. I «fantastici cinque», candidati alla leadership del centrosinistra si schierano dietro i podi trasparenti, un format da quiz alla Mike Bongiorno calato in una scenografia da «X factor» con uno sguardo al rigore degli States. Bianco rosso e verde (predominanza di rosso Sky) lo sfondo, un minuto e mezzo per ogni risposta, con il timer che scorre sullo schermo. Si inizia da tasse e euro, si finisce con l’appello agli elettori, passando per il Pantheon del centrosinistra. A sorpresa un Papa e un cardinale per i candidati più di «sinistra»: Bersani ci mette Papa Giovanni XXIII, Vendola il cardinal Carlo Maria Martini, mentre Renzi sceglie Nelson Mandela e la blogger tunisina Lina Ben Mhenni; Laura Puppato due donne, Tina Anselmi e Nilde Iotti. Tabacci sceglie Alcide De Gasperi e Giovanni Marcora.
Si parte dalle tasse: non si possono più alzare, spiega Renzi, bisogna stringere l’accordo con la Svizzera per i capitali esportati e l’Imu va tenuta così come è; vanno abbassate ai redditi medio-bassi per Bersani che insiste sugli incentivi alle imprese che investono su giovani e donne nel Mezzogiorno, sulla tracciabilità e la tassazione i grandi patrimoni immobiliari e finanziari. Un secco no, invece, per il segretario Pd, agli accordi con la Svizzera perché «così come sono non possiamo accettarli», ma soprattutto «mai più con i condoni». Vendola come il leader Pd insiste su tracciabilità e lotta all’evasione ma propone l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa. Altro tema caldo è il patto di stabilità: toccarlo vorrebbe dire far male al Paese per il sindaco; per Bersani bisogna «aggiungere» qualcosa come misure per la crescita e un allentamento del rigore in cambio di investimenti per far ripartire l’economia nella zona Ue; Vendola propone un’Europa più forte a partire dal sistema di welfare, Tabacci non esclude un ritocco del patto di stabilità purché ci sia l’accordo tutti i partner. Ecco che si sta passando alla domanda successiva quando Laura Puppato fa notare al conduttore che tocca a lei, è il suo turno. È la prima gaffe di questa sfida tv in stile Usa.
La domanda su Marchionne è l’occasione per Renzi di «riscattarsi» per quel «con Marchionne senza se e senza ma». : «Caro ingegner Marchionne», mi hai deluso, la sintesi. Sassolino dalla scarpa: lo invita ad andare a Firenze, un «città che non è né piccola né povera». Nichi Vendola sembra ribattere polemicamente più al sindaco che all’Ad Fiat: «Caro ingegner Marchionne io non le ho mai creduto…». Applausi.
Sorride Bersani: «Guardi ingegnere che lei non sta parlando a qualcuno a cui si può raccontare di tutto… voglio sapere l’anno prossimo cosa succede per le politiche produttive dell’automobile». Aggiunge: «Osè» il piano aziendale. Un confronto che sembra soprattutto un botta e risposta tra Renzi e Vendola. Differenze sulla riforma del lavoro della Fornero: drastico Vendola per il quale «è uno sfregio alla civiltà del lavoro del Paese»; più morbido Bersani che tuttavia dice che «qualcosa va ritoccato: vanno bene le regole ma se non si dà una possibilità vera al lavoro con le regole si va avanti poco». Distanze sui diritti gay. «Tra massimalismo e minimalismo bisogna trovare la strada». Si piazza qui Bersani, tra Vendola e Tabacci. Indica la via tedesca come soluzione, dal riconoscimento delle coppie di fatto ai diritti dei bambini che vivono in coppie omosessuali. Tabacci cita l’Albo delle unioni civili decise dal sindaco di Milano, invita alla prudenza sul matrimonio tra coppie gay, Renzi propone la civil parternship e dice che il «problema ancora non è sciolto nel nostro programma» mentre Vendola non fa mistero: matrimonio e adozione anche per le coppie omosessuali. Laura Puppato è sulla stessa linea. Tutti d’accordo sul fatto che sia uno scandalo che l’Italia ancora non si sia dotata di una legge. A citare la legge contro l’omofobia, invece, è soltanto il segretario Pd, ricordando che per la terza volta è stata affossata. Guarda agli Usa Renzi per il finanziamento ai partiti: sì ma solo da privati; invita a non fare «demagogia» Tabacci; Bersani cita le proposte di legge del Pd al riguardo, dal dimezzamento del numero dei parlamentari alla diminuzione del finanziamento ai partiti. Piccolo colpo di scena: Vendola alla domanda di una sostenitrice di Puppato, sull’ordine di preferenza alla primarie se non fosse lui candidato, esordisce con un «ma siamo alla crudeltà». Ammette: «Non ce la faccio, non posso rispondere». Bersani, a cui viene chiesto se proseguirà con le lenzuolate risponde che sì: a partire da quella sulla moralità, il segnale più forte reintrodurre il falso in bilancio. Sintonia tra Bersani, Tabacci e Puppato sulle alleanze: progressisti e moderati. Vendola chiude a Casini, Renzi dice che segue lo «schema di Nichi». Annuncia 10 ministri, metà donne. Esclude Casini. Anche lui. Tabacci e Puppato replicano: demogogico dire che si governa l’Italia con 10 ministri. Chi ha vinto? Sul web arriva la prima risposta sicura: il centrosinistra.
L’Unità 13-11-12
Pubblicato il 13 Novembre 2012