Stallo in commissione Bilancio della Camera sulla questione degli esodati mentre per la scuola e gli insegnanti si è trovata la soluzione per bloccare l’aumento delle ore di lavoro.
I conti sugli esodati (secondo la Ragioneria dello Stato) non tornano e la palla torna a rimbalzare nel campo dei parlamentari che non accettano il nuovo stop. Per superare l’impasse, i vertici del ministero del Lavoro e del ministero dell’Economia si incontreranno oggi alle 8.30. Si cerca una soluzione condivisa per approvare nelle prossime ore gli emendamenti pro-esodati al ddl Stabilità. La partita si gioca tutta sull’esile filo dei numeri, di quanto è (realmente) ampia la platea dei lavoratori sospesi prima della pensione; e di quante risorse occorrano per salvarli senza mandare in tilt i conti. Fino ad oggi, per poco meno di 130mila persone, si pensava ad una somma-paracadute di circa 9,1 miliardi.
Secondo la Ragioneria questi dati sono parziali, e rischiano di mandare fuori controllo la spesa: le stime fatte in commissione non tornerebbero perché da qui al 2025, bisognerà prevedere una spesa ben più elevata e prossima ai 20 miliardi visto che i lavoratori tutelati dal fondo di salvaguardia da 9,1 miliardi sarebbero 315 mila – come sostenuto dall’Inps e non 130 mila. Nel dettaglio, a leggere le tabelle della Ragioneria si scopre che i lavoratori effettivamente coinvolti sarebbero 314.576 per un totale di fondi necessari pari a 19,6 miliardi (10,5 in più di quanto preventivato, fino ad oggi, in commissione Bilancio).
I relatori, Renato Brunetta (Pdl) e Pier Paolo Baretta (Pd), hanno cercato di trovare una mediazione accettabile da governo e deputati per tutta la giornata. Ma uno dei nodi che rischia di acuire le tensioni, oltre alla questione delle risorse, riguarda alcuni passaggi contenuti negli emendamenti presentati dai relatori. Si tratta di modifiche che metterebbero a rischio, in particolare, le donne madri lavoratrici che hanno proseguito volontariamente a versare contributi. E’ il caso classico delle donne che lasciano il lavoro per la maternità, ma che successivamente scelgono di pagare di tasca propria l’Inps. Le correzioni apportate al testo oggi limitano la salvaguardia solo agli esodati o ai “prosecutori volontari” che non abbiano dichiarato un reddito superiore ai 7.500 euro. E quindi le donne madri e lavoratrici oggi “esodate” sarebbero automaticamente escluse dai benefici.
Altro nodo al centro del braccio di ferro tra parlamentari da una parte e governo-Ragioneria dall’altra riguarda la proposta di bloccare l’indicizzazione delle pensioni che siano tra le sei e le otto volte il tetto minimo (tra 40 e 50 mila euro circa l’anno). Risorse che potrebbero servire, in caso di bisogno, a coprire le necessità di copertura del fondo-esodati.
Renato Brunetta, visibilmente contrariato, parla di «rinvio» e rimanda ogni commento al nuovo round previsto per oggi. Secondo Marialuisa Gnecchi (Pd) «occorre rivedere la questione dei “prosecutori volontari” che penalizza soprattutto le donne», mentre per Giuliano Cazzola (Pdl) «le nuove difficoltà sulla copertura per l’allargamento del numero degli esodati dimostrano quanto sia complicato risolvere, nell’attuale quadro di finanza pubblica, questo problema che pure assilla decine di migliaia di persone».
Tirano invece un sospiro di sollievo gli insegnanti, che non dovranno incrementare l’orario di lavoro da 18 a 24 ore settimanali. L’emendamento alla legge di Stabilità, presentato dal governo in commissione Bilancio, prevede per il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca tagli per 183 milioni nel 2013. Dopo questi risparmi, non ci sarà più bisogno di chiedere agli insegnanti l’incremento delle ore lavorate.
Nella notte, infine, la notizia che Mario Monti si è attivato, questo fine settimana, per assicurare che gli aiuti Ue per il terremoto in Emilia Romagna (670 milioni) non vengano bloccati. Il premier italiano ha sentito Barroso e Schulz (presidente del Parlamento europeo) bollando come «inaccettabile» un eventuale alt ai fondi.
La Repubblica 12.11.12
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“L’Imu:La definizione di ente no profit favorirà le realtà ecclesiastiche”, di VALENTINA CONTE
IL GOVERNO, costretto ad accelerare il varo del regolamento che imponga anche alla Chiesa e agli enti no profit, laddove producono utili, di pagare nel 2013 l’Imu, tenta un colpo di mano. Far passare una definizione ad hoc di ciò che non è attività commerciale. Che vale per questi enti, ma non per il resto degli italiani. E che li solleverebbe dal versamento dell’imposta sulle porzioni di immobili ad uso “misto” da cui traggono profitti (cliniche, alberghi, ostelli, mense, sedi varie), con una semplice modifica del loro statuto, da apportare in corsa entro dicembre. Un rischio grosso, avverte il Consiglio di Stato, perché l’Europa guarda. E la Commissione di Bruxelles potrebbe multare l’Italia per aiuti di Stato illegali e recuperare tali somme “condonate”, a partire dal 2006. Un danno che può valere fino a 3 miliardi, considerati gli incassi stimati dal governo (300-500 milioni l’anno).
GLI SCONTI
In base alla nuova definizione, ecco gli sconti possibili. Non c’è attività commerciale, dunque non si paga l’Imu, se nello statuto dell’ente no profit si prevede il divieto di distribuire utili o l’obbligo di reinvestirli esclusivamente a fini di solidarietà sociale. O ancora se si inserisce l’obbligo di devolvere il patrimonio, quando l’ente si scioglie, ad altro ente no profit con attività analoga. E ancora, cliniche e ospedali sono fuori dall’Imu se accreditate o convenzionate con Stato ed enti locali, le loro attività assistenziali svolte «in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico», a titolo gratuito o – e qui viene il bello – dietro pagamento di rette «di importo simbolico». Scuole e convitti esentati se l’attività è “paritaria” rispetto a quella statale e non “discrimina” gli alunni. Le strutture ricettive, se la ricettività è «sociale ». E infine, per le attività culturali, ricreative e sportive fa fede ancora il compenso. Se «simbolico », zero Imu. Con tutto ciò che “simbolico” possa voler dire. E il rischio di esentare molto, se non tutto.
LA BOCCIATURA
Il pasticcio parte dalla bocciatura, il 4 ottobre scorso, del regolamento del ministero dell’Economia (arrivato, tra l’altro, in ritardo di tre mesi) da parte del Consiglio di Stato, tenuto a un parere obbligatorio ma non vincolante. Il regolamento doveva spiegare come compilare la dichiarazione (entro dicembre). Una sorta di autocertificazione, che l’ente no profit fa, dei metri quadri dell’immobile di proprietà riservati agli affari. Ma c’era bisogno di un decreto ministeriale per un’operazione tutto sommato semplice? Evidentemente sì, visto che la delega in tal senso al governo viene dal Parlamento. I giudici del Consiglio di Stato, tuttavia, bocciano il regolamento. Proprio perché quella delega è stata travalicata e il governo ha inserito anche gli “sconti”, corpi del tutto estranei che mutano l’ordinamento italiano.
AZIONE LAMPO
Che cosa fa allora il governo per superare le obiezioni del Consiglio di Stato? Prima allarga la delega concessa dal Parlamento. E lo fa con tre righe inserite nel decreto Enti locali (che si occupa di tutt’altro, ovvero di costi della politica), passato alla Camera. Poi tenta il blitz. La tentazione originaria è di pubblicare lo stesso testo con gli sconti – quello “bacchettato” dai giudici amministrativi – in Gazzetta ufficiale.
Poi si ferma. Annulla la pubblicazione e spedisce, secondo la prassi, il testo per un secondo parere ai giudici, che lo (ri)esaminano giovedì 8 novembre. Le righe che sbloccano l’empasse sono nel decreto Enti locali: il numero 174, all’articolo 9, comma 6. Poche parole che ampliano la delega modificando l’articolo 91 bis, della legge liberalizzazioni di febbraio. Quello che introduceva l’Imu anche per la Chiesa e il no profit (altre religioni, partiti, sindacati, onlus). Così il governo conferma gli “sconti”. Nonostante i moniti del Consiglio di Stato.
La Repubblica 12.11.12
Pubblicato il 12 Novembre 2012