attualità, lavoro

“Produttività, accordicchi no”, di Luigi Mariucci

Sul tema della produttività si sta svolgendo una strana trattativa. A quanto risulta sono oggetto di negoziato tra associazioni di impresa e confederazioni sindacali questioni di grande rilevanza. E cioè: un ulteriore depotenziamento del contratto nazionale, di cui verrebbe messa in discussione la funzione di recupero salariale sull’inflazione, uno spostamento del baricentro contrattuale verso il livello aziendale (quando è noto che la contrattazione si svolge solo in una minoranza di unità produttive), nonché la deroga a un insieme di garanzie disposte dallo Statuto dei lavoratori a partire da quelle in tema di professionalità (cosiddetto de-mansionamento). Che vi sia la necessità di un nuovo patto sociale tra le forze produttive è indubbio: si tratta di uno strumento essenziale, da collegare a coerenti politiche di intervento pubblico, per contrastare la fase recessiva che stiamo attraversando, il basso utilizzo della capacità produttiva potenziale a seguito della caduta della domanda, interna e estera (basti pensare al settore auto) o i differenziali in termini competitivi di costi strutturali, a partire dalla energia e dal rispetto dei vincoli ambientali (si veda il caso delle acciaierie, a partire dall’Ilva di Taranto). Ciò che appare sorprendente tuttavia è la pretesa di separare i contenuti di un eventuale accordo sulla produttività, nei termini sopra detti, dalle più generali e impellenti questioni critiche del sistema contrattuale. A parte le note vicende accadute alla Fiat, dove l’impresa pretende di licenziare 19 lavoratori essendo stata condannata per comportamento discriminatorio ad assumere altrettanti lavoratori iscritti alla Fiom, non può sfuggire quanto sta avvenendo nel complessivo settore metalmeccanico. Qui la Federmeccanica sta escludendo la Fiom dalla trattativa sul rinnovo del contratto nazionale in ragione del fatto che la Fiom non ha sottoscritto l’ultimo rinnovo contrattuale del 2009, peraltro molto povero di contenuti innovativi rispetto all’intera disciplina normativa del contratto nazionale. Che cosa intende fare in effetti Federmeccanica: estendere all’intero settore metalmeccanico il modello Fiat? E, in questo caso, quali accordi sulla produttività si potrebbero poi stipulare nelle aziende del settore? È evidente che nessun passo avanti si può fare, sulla produttività e su altro, se non si mette ordine al sistema delle relazioni sindacali a partire da tre questioni cruciali: l’accertamento della rappresentatività dei sindacati, i procedimenti di validazione della efficacia dei contratti collettivi, il diritto di ogni sindacato rappresentativo di partecipare alle trattative e di costituire proprie rappresentanze nei luoghi di lavoro a prescindere dall’avere o meno sottoscritto precedenti contratti. Dello scioglimento di questi nodi deve farsi carico l’auspicabile «patto sociale» in discussione, ad esempio traducendo in accordo interconfederale le regole già previste, in materia, dall’accordo tra Cgil, Cisl e Uil del 28 giugno 2011. Di questo dovrebbe occuparsi anche il governo, invece che usare strumentalmente la leva della detassazione degli incrementi salariali a livello aziendale come strumento di volta in volta rinnovabile e non come stabile disciplina. In conclusione ciò che serve al Paese è un nuovo e vero patto sociale, del tenore e della forza del protocollo del luglio 1993, e non un accordicchio sulla produttività, per giunta, malauguratamente, separato, come già accaduto con il tanto celebrato «accordo quadro sul nuovo sistema contrattuale» voluto dal governo Berlusconi con grande clamore nel gennaio 2009 e finito, come è noto, nel nulla, vale a dire sprofondato nella dura recessione in corso.
L’Unità 10.11.12