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"Il tentativo (fallito) di azzerare questo Pd", di Giorgio Merlo

Non voglio buttarla sul vittimismo, tantomeno sulla dietrologia. Ma è indubbio che nei mesi scorsi c’è stata la volontà, neanche tanto nascosta, si azzerare “questo” Pd. Un’operazione politica nata attraverso i soliti sermoni di alcuni cosiddetti opinion leader e passata attraverso le conduzioni dei noti milionari di alcuni talk show televisivi che preconizzavano, settimanalmente, la fine di “questo” Pd ormai inadatto alle nuove sfide politiche.
E l’occasione propizia per azzerare questo soggetto politico ormai fuori moda erano proprio le primarie del Pd, cioè lo strumento che permetteva ai cittadini del centro sinistra di scegliere il candidato a premier della coalizione. Un disegno comunque pericoloso perché partiva dal presupposto che un partito così organizzato e che metteva insieme culture politiche troppo diverse tra di loro non poteva che implodere a vantaggio di formazioni più moderne e più collaudate per reggere le sfide dei “tempi nuovi”. È persino inutile aggiungere che la “rottamazione”, al di là forse degli intenti di chi la propugnava in modo anche violento, era il grimaldello decisivo capace di far saltare il banco e di dare la svolta politica finale all’operazione disegnata da alcuni grandi organi di informazione.
Poi, paradossalmente e forse misteriosamente, il giocattolo è saltato e il Pd progressivamente è diventato il perno attorno al quale può partire una stagione di governo capace di contrastare l’ondata antisistema, avventuristica e massimalista apertamente sostenuta da fette crescenti della pubblica opinione del nostro paese. Insomma, la tesi strampalata e goliardica di Flores D’Arcais ha cominciato a vacillare, anche se il suo autore, cioè lo stesso Flores, continua a sostenerla con profonda convinzione e coerenza. E cioè, votare Renzi alle primarie del Pd per contribuire a far saltare “questo” Pd e poi votare Grillo alle politiche per far saltare l’intero sistema democratico e rappresentativo del nostro paese. E, sempre durante questa inversione di rotta, forse casualmente il segretario nazionale del Pd Bersani ha cominciato a salire nei sondaggi nella competizione interna al partito per la leadership del centro sinistra – che comunque vanno sempre letti con molta prudenza e cautela – e il Pd è ridiventato forza decisiva per un’alternativa democratica e riformista nel paese.
Ora, al di là di questa ricostruzione che è quasi una fotografia di ciò che realmente è accaduto in queste settimane nel panorama politico del nostro paese, forse è bene chiedersi come è potuta accadere questa inversione, peraltro positiva, di rotta. Per un semplice motivo. A volte, anche nella politica, il reale supera e annienta il virtuale e i disegni preparati a tavolino si scontrano con la crudezza e la concretezza della realtà. Cioè, non sempre i voleri e disegni dei grandi gruppi editoriali e dei vari guru televisivi, tutti comunque strapagati e benpensanti, centrano gli obiettivi che si sono prefissati e anche la volontà di inseguire e cavalcare l’onda montante può giocare brutti scherzi.
Del resto, quanti articoli e quanti editoriali avevano già previsto la fine ingloriosa di “questo” Pd per sostituirlo con uno nuovo di zecca dove i padri fondatori del partito venivano spazzati via come inutile inciampo da una classe dirigente rinnovata e carica di energie positive e modernizzanti. Insomma, una palingenesi totale capace di rinnovare, per l’ennesima volta e forse in modo definitivo, la prospettiva del più grande partito riformista del paese.
Tutto ciò non è avvenuto.
Almeno per il momento. E, d’ora in poi, il Pd, a prescindere dal risultato delle primarie, può guardare con maggior sollievo al suo futuro e alla sua prospettiva politica.
Ma un insegnamento si può trarre da questa vicenda politica e giornalistica, editoriale e di potere.
A volte, quando si fa riferimento al radicamento sociale e territoriale di un partito, alla valenza e alla qualità della sua classe dirigente, alla fecondità e allo spessore del suo retroterra culturale ed ideale, non si evocano parole vuote o banali. Semmai, si delinea il profilo e l’identità di un partito che nessun disegno a tavolino, nessuna rottamazione violenta e nessun condanna preventiva possono mettere in discussione.
E il Pd, proprio da questa vicenda, ha confermato di essere un partito solido, moderno, attuale ma con radici profonde. Radici, come dice spesso con una metafora Bersani, che producono foglie e che non possono essere cancellate, o sradicate, con qualche format televisivo o con una fucilata di editoriali dei soliti noti.
da Europa Quotidiano 09.11.12