Le mandorle salate dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi non si toccano. I benefit dei generali nemmeno. Le pensioni devono rimanere dorate, anche se calcolate in base a logiche risalenti ai tempi della Guerra Fredda. La spending review delle forze armate faccia pure il suo sporco lavoro, ma da un’altra parte. Si riduca la truppa, se serve, o si taglino i marescialli, però i privilegi delle alte sfere militari devono rimanere. In tempi di austerity c’è ancora qualcuno che lucida le maniglie d’oro degli sfarzosi appartamenti di rappresentanza. Chi sono oggi i privilegiati della Difesa italiana? Quali sono i benefit arcaici ancora concessi?
IL BUFFET DELL’AMMIRAGLIO
Bisogna leggerla tutta la mail che il Capitano di Vascello Liborio Francesco Palombella spedisce ai suoi sottoposti, il 3 maggio 2012, alla vigilia della visita dell’ammiraglio Giusppe De Giorgi sulla “Caio Duilio” ormeggiata a La Spezia. «All’arrivo del Cinc (Comandante in capo della squadra italiana,
ndr) prevedere in quadrato l’aperitivo con vino bianco ghiacciato, mandorle salate, grana, olive verdi, pizzette, rustici, tartine. Prepararsi a servire caffè d’orzo o tè verde». In un’altra mail, un ufficiale ricorda a tutti i gusti dell’ammiraglio, guai a sbagliare: «Il caffè con orzo in tazza grande, senza zucchero, macchiato caldo. Il tè verde, senza zucchero».
Quell’accoglienza da impero borbonico riservatagli a Taranto l’8 settembre scorso a bordo dell’incrociatore Mambella (camerieri, tartine, champagne e ovviamente mandorle), di cui hanno dato conto i giornali, non era dunque un caso. E mentre a la Spezia si domandano se l’ammiraglio gradisca il caffè in tazza grande o piccola, a Kabul ai soldati italiani non è più concesso di andare a mangiare alla mensa americana, più abbondante e costosa. Stona, in tempi di crisi, qualsiasi forma di sperpero di denaro pubblico. E quella dell’ammiraglio De Giorgi è solo una delle 400 e passa casi di benefit e favori goduti da chi ha il grado di generale.
COMANDANTI E COMANDATI
Parlano i numeri. Tra Esercito, Marina e Aeronautica ci sono 425 generali per 178 mila militari. Negli Stati Uniti sono 900, ma guidano un comparto che con 1.408.000 uomini è quasi dieci volte quello italiano. Per dire, noi abbiamo più generali di Corpo D’Armata, 64, che Corpi d’armata, circa una trentina. «A essere generosi, in Italia basterebbero 150 generali per svolgere gli stessi compiti — scrive Andrea Nativi nel rapporto 2011 della Fondazione Icsa, che si occupa di Difesa e intelligence — gli esuberi concentrati nei gradi apicali degli ufficiali devono essere smaltiti in fretta attraverso provvedimenti straordinari, altrimenti rimarranno una zavorra costosa e penalizzante».
Siamo arrivati al paradosso che i comandanti sono più dei comandati: 94 mila ufficiali e sottoufficiali, 83.400 uomini e donne della truppa. Nei prossimi due anni il personale, civile e militare sarà tagliato di 8.571 unità. Entro il 2024, si legge nel ddl di revisione appena approvato dal Senato, i 178 mila scenderanno a 150 mila. Ma i generali no, loro non si toccano. Perché avere la greca sulla spallina significa godere di uno status privilegiato. Un generale di Corpo d’armata (il grado più alto, tre stellette) percepisce in servizio uno stipendio annuale di 120 mila euro, circa 7 mila euro netti al mese. Non ha limitazione alle ore di straordinario che può fare. Ha diritto all’alloggio di servizio a canone agevolato nelle zone migliori della città, al telefonino, in alcuni casi all’autista (l’anno scorso sono state acquistate dalla Difesa 19 Maserati per gli alti ufficiali), a soggiorni low cost nelle decine di foresterie della Difesa, alcune in località turistiche di pregio come Bardonecchia o Milano Marittima. E quando raggiunge la pensione, per effetto di indennità varie, del sistema retributivo ancora in vigore per gli anziani e della cessazione del versamento dei contributi all’Inpdap, si ritrova con un mensile superiore a quello in servizio.
IL SUPERSTIPENDIO DEL VICE
Si chiama Sip l’eldorado dei generali. Speciale indennità pensionabile, un emolumento ad personam che fa schizzare lo stipendio dei dirigenti in alto. Molto in alto. Spetta al Capo di stato maggiore della Difesa, il generale Biagio Abrate, (482.019 euro all’anno), ai tre Capi di stato maggiore di Esercito, Aeronautica e Marina (481.006 euro), al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Leonardo Gallitelli (462.642 euro) e al segretario generale della Difesa Claudio De Bertolis (451.072). Cifre che superano ampiamente i 294 mila euro annuali (il trattamento riservato al Primo presidente di Cassazione) indicati dal “decreto salva-Italia” come tetto per gli stipendi dei manager pubblici. In sei costano al ministero 2,8 milioni di euro. Gli stessi soggetti, quando lasciano, ricevono una liquidazione che sfiora il milione di euro e una pensione da 15 mila euro netti al mese.
Una Sip, anche se ridotta nel valore, viene misteriosamente concessa anche al vice comandante dei Carabinieri. «Ciò aveva un senso fino a quando c’era un generale dell’Esercito a ricoprire il ruolo di vertice dell’Arma, non ancora promossa a forza armata — spiega una fonte qualificata del Cocer, l’organismo di rappresentanza militare interna — era un modo per gratificare il carabiniere più alto in grado. Dal 2000 però c’è un Comandante carabiniere ma la Sip al suo vice è rimasta». E non è un caso che per quel ruolo si siano avvicendati, dall’inizio del 2012 ad oggi, già tre ufficiali e di media non si rimane in carica più di un anno.
LE PROMOZIONI DI CARTA
Si scopre poi che la carriera della dirigenza militare, e solo quella, è un moto inarrestabile verso l’alto. Nelle amministrazioni pubbliche si viene promossi quando si libera un posto. Qualcuno esce, qualcuno entra, elementare principio di contenimento degli sprechi. Sotto le armi no. I generali vengono promossi a prescindere dall’esistenza di un posto vacante. La commissione Difesa della Camera l’ha messo nero su bianco, prevedendo che il generale di Divisione (2 stellette) con almeno un anno di permanenza in quella posizione possa avanzare al grado superiore anche se in soprannumero.
Altro regalo che ha resistito ai tagli è la promozione automatica immediatamente prima del congedo. Il giorno antecedente alla pensione si sale di grado. Più stelle sulle spalline, più benefit.
Il sistema delle “promozioni di carta” riesce anche ad aggirare il blocco delle buste paga imposto alle amministrazioni pubbliche fino al 2014 grazie all’istituto della omogeneizzazione stipendiale: gli ufficiali dopo 23 anni in servizio senza demerito ottengono, a prescindere dal grado ricoperto, la retribuzione fissa del generale di brigata, circa 3.100 euro netti. «Certo, gli stipendi medi dei soldati italiani sono nel complesso inferiori rispetto a quelli dei colleghi inglesi o francesi — sostiene Emilio Ammiraglia, segretario nazionale di Assodipro, associazione di militari in pensione che punta a introdurre nelle forze armate un sindacato con una vera autonomia operativa — ma quando si parla dei capi, il discorso cambia». E più guadagnano, meno devono spendere.
GLI APPARTAMENTI EXTRALUSSO
A oggi sono 44 i generali e gli ammiragli a cui è stato concesso l’alloggio di servizio e rappresentanza, il famoso Asir, l’extralusso del parco immobiliare della Difesa. Per mantenerli tutti, lo stato spende 4 milioni di euro all’anno. Del resto si devono lucidare appartamenti con 400 metri quadri di parquet, 143 mq di marmo, 188 mq di maioliche, ascensore con moquette e terrazzo di 275 mq, come nel caso della residenza riservata al Capo di stato maggiore dell’Aeronautica in via del Pretoriano a Roma.
Nessuno mette in dubbio che il ministro, i quattro Capi di stato maggiore, i sottocapi, gli alti comandanti abbiano diritto agli Asir, anche perché devono ricevere ambasciatori e cariche estere. Ma andando a sfogliare l’elenco di chi li occupa, qualche perplessità sorge.
Ad esempio, non si capisce quale siano i compiti di rappresentanza del comandante della 1° Regione aerea dell’Aeronautica, che pure vive in via Gaio a Milano in un alloggio di 450 mq rivestito in parquet, leggermente più ampio del collega delle Operazioni aeree, che ne ha uno di 445 mq in via Cavour a Ferrara. A Firenze il Comandante dell’Isma si deve stringere in 233 mq, ma può sfruttare un balcone da 158 mq. A Pozzuoli il direttore dell’Accademia aeronautica ha un alloggio di 189 mq, con un terrazzo faraonico da 287 mq. «La metà dei 44 Asir concessi — sostiene la stessa fonte del Cocer — rappresentano oggi un retaggio superfluo del passato».
Chi li occupa si difende sostenendo di pagare regolarmente l’affitto mensile sulla parte residenziale, cioè le camere, la cucina, il soggiorno e i bagni. Verissimo. Ma a canoni più che vantaggiosi: 1 euro a metro quadrato. Che sia
in centro a Roma o a Pozzuoli o nella strada più in di Firenze, sempre quello è il prezzo.
UFFICIALE E CAPPELLANO
Equiparato per grado e stipendio al generale di corpo d’armata è anche l’ordinario militare, ruolo attualmente coperto da monsignor Vincenzo Pelvi, che è a capo di un’arcidiocesi speciale composta dai 182 cappellani militari, tutti inquadrati come ufficiali che svolgono l’attività pastorale nelle caserme. Il vicario equivale a un generale di brigata (6000 euro al mese lordi), il vicario episcopale, il cancelliere e l’economo sono equiparati al tenenti colonnello. Alla Difesa nel complesso costano 10 milioni di euro in buste paga annuali, più altri 7 milioni per la liquidazione di 160 pensioni, che mediamente ammontano a 43 mila euro all’anno ciascuno, tranne quella dell’ordinario a cui vanno 4 mila euro al mese. L’attuale presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, nei fatti è un baby-pensionato. È stato arcivescovo ordinario militare dal 2003 al 2006, a 63 anni ha ottenuto il vitalizio dalla Difesa, un po’ meno di 4 mila euro, con appena tre anni di contributi. Il suo successore, monsignor Pelvi, ha mandato una lettera al presidente della Repubblica, a cui spetta la nomina, e a Papa Ratzinger per chiedere una proroga fino al 2014, così da maturare gli anni necessari per la pensione da generale.
I Radicali qualche giorno fa hanno provato a sganciare questi compensi dal bilancio della Difesa con un emendamento al ddl di revisione. Respinto.
L’EREDITÀ DELLA GUERRA FREDDA
Discorso a parte merita l’indennità di ausiliaria. Una volta in congedo per il raggiungimento dei limiti di età (tra i 60 e i 65 anni), ufficiali e sottoufficiali possono chiedere di restare per 5 anni a disposizione della Difesa, nell’eventualità di essere richiamati in servizio in caso di necessità. «È un’eredità della Guerra Fredda – sostiene Luca Comellini, ex maresciallo dell’Aeronautica ora segretario del Partito per la tutela dei diritti per i militari – quando lo scoppio di un conflitto rientrava nel ventaglio delle ipotesi. Ma che senso ha oggi, per chi ha già ha una pensione cospicua da 7000 mila euro netti al mese?» Il “disturbo” di restare a casa, ma a disposizione, viene comunque pagato. L’ausiliaria, introdotta per il fatto che i militari escono dal servizio per limiti di età prima degli altri dipendenti statali, è pari al 70 per cento della differenza tra il trattamento percepito in pensione e quello spettante nel tempo al pari grado in servizio. Un calcolo complesso. E con il blocco delle retribuzioni per l’impiego pubblico, non è nemmeno più vantaggiosa per gli ufficiali intermedi. Per un generale di corpo d’armata invece può raggiungere 700 euro al mese alla pensione. Inizialmente c’era un bacino relativamente stretto di 35 ufficiali e 500 sottoufficiali a cui spettava. Oggi in deroga viene concessa a centinaia di militari.
Nel 2011 la Difesa ha speso per l’ausiliaria 326 milioni, quest’anno 355. «Ma i casi di richiamo in servizio sono rarissimi », sottolinea Comellini. Qualche generale ha partecipato alle commissioni di concorso interno, qualcun altro è stato richiamato durante l’emergenza rifiuti a Napoli. E quando un pezzo grosso torna al lavoro, lo fa con tutti i crismi. Stipendio pre-congedo, macchina con l’autista, alloggio, spese di diaria, straordinari. Che uno torni in servizio o rimanga a casa, i cinque anni di ausiliaria vengono comunque conteggiati ai fini del trattamento pensionistico e della liquidazione. La casta dei generali non sventola mai bandiera bianca.
La Repubblica 09.11.12
Pubblicato il 9 Novembre 2012