Sempre più in tanti ritengono che l’idea guida di una nuova e moderna cittadinanza debba essere messa in primo piano, se, nell’era del web, si vuole recuperare senso, valore e autorevolezza ai sistemi formativi – e quindi alle Scuole, alle Università, alla Ricerca –. Scossi in profondità dalle grandi rivoluzioni scientifiche e tecnologiche della nostra epoca e piegati dalla sfibrante crisi economica e finanziaria di quest’ultima fase.
Ovviamente, nell’era della globalizzazione, l’idea di cittadinanza va declinata in termini molto più ampi rispetto a solo pochi decenni fa.
Oggi si parla addirittura di cittadinanza planetaria. Che è un’idea molto meno remota nell’era del web, della globalizzazione e delle identità plurime. Ed è prospettiva a cui lavorare, cercando ovviamente di trovare risposte praticabili ai non pochi interrogativi che ne scaturiscono.
Li ha precisati da par suo Jerome Bruner nel volume Feltrinelli La Cultura dell’Educazione, alla quale rimando, che richiama soprattutto come una cittadinanza planetaria “non sostituisce quelle tradizionali, ma le accompagna e le integra”.
Già oggi queste nuove forme appaiono molto di più di una vaga esigenza da rinviare al futuro. E questo perché, a fianco dell’ obiettivo di creare cittadini dai linguaggi relativamente omogenei, proprio di uno stato nazionale dall’identità ben definita, “ora si fanno strada nuove forme di cittadinanza in cui la multiculturalità è nei fatti prima ancora che nei progetti, in cui le esperienze in rete aumentano la varietà delle aspettative”.
Comunque, compito certamente complesso; e non solo perché richiede una riflessione su affinità e differenze, ma anche perché è chiamato a misurarsi, come suggerisce sempre Bruner, con domande difficili del tipo: esiste un nucleo di saperi condivisibili dai membri della specie umana? Esiste un nucleo etico? Può essere esplicitato? Come può eventualemnete essere trasmesso? E come?
Non sono interrogatovi che si possono evitare. Se l’obiettivo è educare al futuro del cittadino planetario, allora diventa prioritario il compito di “esplicitare e affrontare la sua condizione evolutiva e planetaria”.
L’immagine che si può trarre da quella lettura dello studioso statutinense– almeno ciò che ne ho tratto io – è quella di cittadinanza come nucleo di cerchi concentrici (ciascun cerchio corrisponde alle identità e alle appartenenze possibili) del quale tre sono soprattutto gli elementi costitutivi e connotanti: la cultura, le competenze e la responsabilità/solidarietà.
L’idea di cittadinanza nella nostra scuola
L’idea di cittadinanza è entrata solo recentemente, come si sa, nella nostra scuola come idea diffusa e definita e come concreta finalità formativa.
Chiaramente è sempre esistita nei programmi di studio in quanto finalizzati a creare una identità culturale e senso di appartenenza, attraverso identiche letture, comuni pratiche didattiche, contenuti disciplinari omogenei.
Oggi, nella nostra scuola, l’idea di cittadinanza è legata soprattutto – nei settori più consapevoli dei tra i nostri docenti più consapevoli – alle competenze chiave che, attraverso la Raccomandazione del 2006 del Consiglio Europeo – relativa alle Competenze Chiave per l’apprendimento permanente e quindi alle questioni di una cittadinanza attiva e responsabile -, sono entrate per la prima volta nei nostri Ordinamenti con il nuovo biennio riformato (2007) – Ministro Fioroni – e nelle Indicazioni nazionali del Primo ciclo subito dopo.
Per un cittadino colto, competente, responsabile
Al centro quindi di una nuova paideia, la formazione di un cittadino colto, competente, responsabile. E un’idea di educazione – lo dico ovviamente in termini molto semplificati – che contribuisca all’auto-formazione (sottolineo la prima parte di questa parola composta e la forte valenza sociale ed educativa del termine) del cittadino e insegni a diventare cittadini.
La cittadinanza, ha quindi senso, valore e credibilità in quanto si alimenta di cultura e di competenze e responsabilità .
La nozione che più intriga, perché ‘ingrediente’ fondamentale, è certamente quella di
cultura da considerare essenzialmente “come cassetta degli attrezzi di tecniche e di procedure per capire e gestire il proprio mondo” come ci ricorda Morin – citando alcuni antropogi – in La testa ben fatta.
Negli ‘attrezzi’ io metterei anche – e ben in evidenza – l’insieme circoscritto di mappe cognitive attraverso cui non solo ‘organizzare le conoscenze’, ma anche ‘interpretare e utilizzare contenuti, competenze e saperi che accompagneranno la persona-cittadino nella sua vita umana e professionale’(Ceruti – Bocchi).
La cultura – vale la pena richiamare e sottolinearne il valore e la forza orientativa della nozione – è sì creazione dell’uomo, ma “la cultura plasma anche la mente che senza cultura non potrebbe esistere: imparare, parlare immaginare si realizzano secondo caratteristiche che sono proprie della cultura di cui si è partecipi”. (Ancora Morin, nel libro citato).
La competenza è qui nel senso di risultato dell’incontro (rapporto) dinamico tra saperi – know how – fare/realizzare, per affrontare problemi di un determinato campo e tentarne soluzioni.
In questi termini è declinata nella Raccomandazione del 2008 della Commissione Europea , relativa al Quadro europeo delle competenze (anche se, in quella definizione, la dinamicità del rapporto conoscenze / abilità / competenze non è ben esplicitato. Almeno così sembra a molti e a me tra gli questi.)
Responsabilità. Si registra oggi – basta guardarsi intorno – una sorta di indebolimento del senso di responsabilità (al massimo si è responsabili solo del proprio compito specializzato) e del senso di solidarietà (al massimo, si percepisce, quando lo si percepisce, solo il legame con la propria città e i propri concittadini).
Ne è spia il deficit democratico crescente che porta a delegare la soluzione dei problemi vitali solo e unicamente agli esperti e ai tecnici.
Mi piace qui associare la nozione di “cittadino responsabile” all’idea di “ persona esigente” e ricordare un passaggio di Marc Augé in Che fine ha fatto il futuro dove si afferma -cito a memoria- che “un popolo, una comunità che perde / offusca un’idea esigente di sé, è destinata ad un rapido declino”.
La formazione del cittadino: metodi e modelli per una pratica didattica coerente
Possono risultare utili, a questo punto, alcune annotazioni su insegnamento e apprendimento, e le loro possibili connessioni conl’idea di cittadinanza.
A premessa, mi piace riproporre una considerazione di Bruner:
“L’intima natura dell’insegnamento e dell’apprendimento scolastico è [oggi] trascurata perché c’è stato un interesse esclusivo per le prestazioni e la valutazione che ha portato a trascurare i mezzi con cui insegnanti e studenti fanno il loro mestiere nella classe reale, come i docenti insegnano e i ragazzi imparano. La stranezza è che questo è stato il periodo, gli ultimi decenni, in cui hanno fatto più progressi gli studi su insegnamento e apprendimento”.
L’accanimento su valutazione e performance – che da diversi anni monopolizza il dibattito sulla cultura professionale del docente e sul funzionamento delle scuole – non aiuta certo a concentrarsi sulle modalità, gli strumenti e gli ambienti dell’apprendimento scolastico e quindi a favorire motivazione e coinvolgimento.
Ovviamente non è in discussione il valore della valutazione nelle sue varie forme e le sue diverse finalità. Si vuole soprattutto mettere in guardia contro un uso ossessivo e fuorviante della stessa.
E’ da rimettere in primo piano – ed è la prima annotazione – la rilevanza di alcune metodologie di lavoro che forse più di altre sono funzionali all’auto-formazione di un cittadino nell’era della globalizzazione.
Per esempio:
il ‘metodo socratico’. O il ‘modello narrativo’. O l’approccio della reciprocità’. Il primo intriga soprattutto per l’importanza attribuita al ragionamento, all’attività intellettuale individuale, all’introspezione come antidoto ad una educazione che punta a costruire soggetti passivi (gli yes men che la cultura del profitto privilegia).
Passivi come cittadini e attivi come consumatori – avrebbe detto Pasolini.
Il metodo socratico, laddove è stato oppotunamente sperimentato, ha costituito una pratica didattica ad alto valore sociale, importante per ogni democrazia, ma soprattutto per le società che devono fare i conti con la presenza di persone diverse per etnia e religione.
Sappiamo che il metodo socratico – poco frequentato nelle nostre aule anche liceali – ha attraversato il pensiero pedagogico di tanti studiosi importanti (Rousseau, Frobel, Pestalozzi, Mann, Dewey, Montessori, Tagore …): il che suona conferma della vitalità di una tradizione che utilizza i valori ad esso sottesi per formare un tipo di cittadino attivo, critico, curioso, capace di resistere a pressioni ingiustificate, responsabile verso la comunità di cui fa parte.
Del modello narrativo vorrei soprattutto mettere in evidenza un aspetto spesso trascurato nella pratica didattica: l’attenzione alla comprensione, e non solo alla spiegazione dei fenomeni e delle vicende che attraversano la storia e la vita dell’uomo; ma anche la laicità dell’approccio che valorizza l’interpretazione e quindi la pluralità dei punti di vista.
Della pedagogia della reciprocità – che pure richiederebbe precisazioni per non risultare svilente – appassiona invece la scelta (non casuale) di puntare sull’apprendimento collaborativo e sul dialogo e di guardare allo studente non come ad un recipiente vuoto, ma a un ‘qualcuno’ capace di ragionare, di fare senso, sia per conto proprio sia attraverso il dialogo e la collaborazione con gli altri.
Formazione del cittadino e unitarietà del sapere
Ma la principale rivoluzione dell’insegnamento penso debba consistere nel ridare dignità culturale ai saperi disciplinari (senso, valore, natura) e soprattutto nel dare unitarietà ai saperi, superando le storiche divisioni tra discipline scientifiche e umanistiche e, in prima battuta, delle discipline all’interno della stessa area.
Le discipline sono senza dubbio giustificate intellettualmente, ma a condizione che mantengano un campo visivo che riconosca e concepisca l’esistenza delle interconnessioni e non occultino la visione complessiva della realtà (Bruner).
Interessante e convincente al riguardo la risposta di Morin, in La testa ben fatta, alla domanda: “A cosa mira l’insegnamento nell’epoca della complessità”:
– “Promuovere una attitudine generale a porre e trattare problemi
– “Collegare i saperi e di dare loro senso ed evitare la sterile accumulazione. Il nostro insegnamento ha privilegiato [finora] la separazione. Contestualizzare e globalizzare i saperi è un imperativo dell’educazione”.
L’utopia dell’educazione
Concludo con alcune suggestioni sull’utopia dell’educazione tratte da pagine diverse di M. Augé, a cui ho solo premesso dei titoletti.
Veramente sono più che suggestioni. Per alcuni versi mi sembrano delle importanti e addirittura utili direzioni di lavoro.
Riformista nel metodo, radicale nel progetto
“Un’utopia dell’educazione, contrariamente a quelle che l’hanno preceduta può definire selettivamente i suoi luoghi e progressivamente le sue tappe. Può essere riformista nel metodo, pur restando radicale come progetto. …”
Le solite barriere
“…sono costituite da conservatorismo istituzionale, argomentazioni economiche, scetticismo. Ciò nonostante, in questo campo [nel campo dell’istruzione, formazione e ricerca], qualsiasi iniziativa locale, puntuale, può essere considerata un passo nella direzione giusta, non come il tradimento di un ideale.”
Un’educazione per tutti
“Se pensiamo che “l’avvenire del pianeta non può prospettarsi come l’avvenire di un’élite più o meno ristretta ….l’utopia da costruire e realizzare, quella che può orientare tanto il tipo di scienza quanto gli osservatori del sociale, gli artisti, i gestori dell’economia, è dunque l’utopia di un’educazione per tutti, indispensabile per la scienza come per la società….”.
La rivoluzione sociale dell’insegnamento
“Quanti si preoccupano professionalmente della ricerca e dell’insegnamento devono tener presente che il progresso scientifico dipende in larga misura dalla rivoluzione sociale dell’insegnamento”.
Una ragionevole scommessa
“Un’utopia del sapere può essere definita solo come un’utopia pratica e riformista…
Una ragionevole scommessa….: il giorno in cui sacrificheremo tutto al sapere, avremo in cambio ricchezza e giustizia”.
Però!
ScuolaOggi 08.11.12
Pubblicato il 8 Novembre 2012