In commissione al Senato ieri è accaduto il peggio. Il Pdl, sostenuto da Lega e Udc,ha votato emendamenti al Porcellum che hanno il senso di una provocazione, se non di un disprezzo verso le istituzioni. Ha fissato, con una forzatura, al 42,5% la soglia oltre la quale far scattare il premio di maggioranza alla coalizione più votata, e si è ben guardato dal prevedere istituti capaci di evitare un’ulteriore spinta alla frammentazione politica. Il Pdl non è apparso minimamente interessato a ragioni di sistema: l’obiettivo è mettere ostacoli, se non rendere proibitivo, un governo a guida Pd. Non pago di aver fatto tutto questo in spregio di ogni possibile intesa, non pago neppure delle sue colpe passate (perché – è bene ricordarlo – il Porcellum che umilia l’Italia venne approvato sei anni fa dalla stessa maggioranza che ieri lo ha corretto peggiorandolo), il Pdl ha pure deciso di aumentare il numero delle preferenze in modo da vanificare la norma sull’uguaglianza di genere, e colpire così la rappresentanza delle donne in Parlamento.
Il voto in commissione ora va riparato in aula. La correzione è assolutamente necessaria, sulla base di un consenso ampio. Perché non si può votare con il Porcellum. E non si può accettare una violenza come quella perpetrata ieri a Palazzo Madama. Ma occorre che la macchina dello sfascio si fermi. E che si fermi subito. Perché se la riforma elettorale dovesse essere approvata in questo modo, sarebbe la vittoria del «tanto peggio tanto meglio». Il Pdl ucciderebbe la riforma elettorale come già ha ucciso quella costituzionale, imponendo a colpi di maggioranza il suo semi-presidenzialismo che aveva il solo scopo di impedire un rafforzamento del ruolo del Parlamento e una maggiore efficacia dell’azione di governo.
Chi scherza col fuoco non si rende conto che il fallimento di questa riforma – per quanto distante dai sentimenti dei cittadini, visto l’estremo tecnicismo di alcune norme – rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso della sfiducia verso la politica, e verso la stessa democrazia. Chi pensa di trarre vantaggio dal permanere del Porcellum, la legge più screditata e invisa agli italiani, non comprende che l’onda del discredito può travolgere la stessa speranza di riscatto del Paese.
Una soluzione è stata posta sul tavolo: è il cosiddetto lodo D’Alimonte. Si fissi pure la soglia per la coalizione al 42,5% ma, nel caso il premio di maggioranza non dovesse scattare, si attribuisca al partito più votato un premio limitato in seggi (il 10% netto) in modo da favorire una coalizione parlamentare attorno al leader che gli elettori hanno comunque preferito. Accade così in tutti i sistemi parlamentari dell’Europa, qualunque sia il concreto meccanismo elettorale. Perché non deve accadere anche da noi? Perché dobbiamo restare in questa condizione di inferiorità che ci siamo inflitti? Benché il Pdl sembri agitarlo solo per ragioni strumentali (avendo sempre sostenuto il contrario), si può accogliere l’argomento in base al quale l’attuale premio di maggioranza va delimitato. Nei sistemi fondati sull’uninominale-maggioritario (come la Gran Bretagna e la Francia) il premio «di fatto» può addirittura raddoppiare il consenso del partito vincitore: ma in un sistema come il nostro, dove la rappresentanza proporzionale resta comunque un valore (basti pensare alle nomine parlamentari degli uffici di garanzia, a cominciare da quello supremo, il Capo dello Stato), è ragionevole cercare una misura condivisa. Se però si stabilisce che possa godere di una maggioranza del 55% dei seggi solo chi riceve almeno il 42,5% dei consensi, allora bisogna prevedere altri istituti che favoriscano la formazione di governi coerenti ed efficaci (e non paralizzati da coalizioni lunghe e litigiose).
Se restasse solo la soglia minima per il premio di maggioranza, la legge diventerebbe ancora più mostruosa: la disaggregazione e la frantumazione verrebbero addirittura incentivate, perché tutti coloro che non possono vincere punterebbero sul successivo negoziato parlamentare, ovvero sul trasformismo e sull’instabilità. Sarebbe peggio della prima Repubblica. Un premio misurato, ma non marginale, al primo partito invece fornirebbe una spinta contraria. Premierebbe l’aggregazione. Creare un partito grande diventerebbe per la prima volta dopo vent’anni un vantaggio, e non una penalizzazione. Tutti sarebbero spinti a comportamenti trasparenti, perché l’obiettivo elettorale resta la conquista della maggioranza. Ma gli elettori avrebbero finalmente il potere decisionale anche sulle coalizioni di governo. In ogni caso, se la soglia del 42,5% non si raggiunge, toccherà al leader del partito più grande formare il governo con chi gli è più vicino. E le grandi ammucchiate non converranno mai al primo partito.
Abbiamo poco tempo. E, forse, una sola soluzione disponibile. Se il Pdl prosegue sulla strada della rottura, compirà un delitto ai danni del Paese. E chi lo asseconda ne sarà corresponsabile.
L’Unità 07.11.12
Pubblicato il 7 Novembre 2012