Era il 25 gennaio e il decreto «Cresci Italia» prometteva importanti novità per i giovani professionisti. All’insegna della liberalizzazione si permetteva ai giovani che avessero voluto intraprendere la carriera all’interno di uno degli ordini regolamentati (avvocati in primis), di iniziare il tirocinio obbligatorio (per 6 mesi sui 18 complessivi) durante l’ultimo anno del percorso di studi, promettendo quindi una decisa accelerazione nel percorso a ostacoli verso la libera professione. Sino a quel momento i mesi di praticantato obbligatorio erano 24 e per due anni gli studi di avvocati avevano a disposizione manodopera qualificata disponibile a lavorare anche gratuitamente in cambio dell’agognato certificato di avvenuto praticantato. Le nuove norme prevedevano quindi una riduzione della durata del tirocinio ma soprattutto che i primi sei mesi potessero essere svolti, in presenza di apposita convenzione quadro tra il Consiglio Nazionale Forense e il MIUR durante gli anni di studio universitari. La norma non è mai stata chiara. Dapprima sembrava che tutti i praticanti fossero coinvolti nella riduzione della pratica forense. Dopo qualche mese il ministero della Giustizia diceva invece che la norma aveva effetto solo per l’avvenire. Dopo proteste e mobilitazioni a dirimere definitivamente la questione fu il ministero dell’Università con una circolare che precisava come la norma fosse immediatamente applicabile, sottolineando che la volontà del legislatore era facilitare l’accesso dei giovani al mondo del lavoro. Risolto il problema del «quando» rimane però il problema del «come». Infatti, come recitava la circolare ministeriale, «per i primi sei mesi, il tirocinio può essere svolto in concomitanza con gli studi, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca». Ma se oggi si apre uno qualsiasi dei siti delle facoltà di Giurisprudenza delle università italiane, alla voce tirocinio e praticantato, si aprirà un laconico avviso che annuncia che i tirocini universitari non possono essere attivati, in attesa della famosa convenzione. Una beffa per i tanti ragazzi che, alle soglie della laurea, si vedono sbarrare una strada facilitata e sono costretti ad intraprendere il tradizionale calvario di praticantato lungo e malpagato. Gaetano Caravella, dell’esecutivo nazionale della Rete Universitaria Nazionale, sta promuovendo in questi giorni una campagna per costringere governo e ordine degli avvocati a firmare la convenzione: «Quello che chiediamo è che il governo intervenga, superando le resistenze degli ordini professionali e promuovendo la stipulazione della convenzione prevista dalla normativa che consentirebbe un più veloce ingresso dei laureati nel mercato del lavoro». Sul banco degli imputati chiaramente ci sono gli ordini professionali: «Le resistenze degli ordini professionali sono fortissime e difficilmente superabili». Una situazione di stallo che riguarda anche un’altra situazione simile. Dopo che la legge 92/2012 ha introdotto l’obbligo di rimborso spese per gli stagisti sono saltati tutti i bandi di stage che la fondazione Crui oganizzava all’interno della pubblica amministrazione (molto richiesti erano quelli organizzati nelle ambasciate italiane all’estero in collaborazione con la Farnesina). Le procedure di presentazione delle domande presso le università sono bloccate da mesi «in attesa di un accordo in conferenza Stato-Regioni che definisca le linee guida sui tirocini».
L’Unità 05.11.12
Pubblicato il 5 Novembre 2012