«Quando si sbaglia nell’analisi, si sbaglia anche nell’orientamento politico», era solito raccomandare un autorevole politico italiano, ed è opportuno seguire questo suggerimento anche di fronte ai risultati delle elezioni siciliane e al successo del movimento 5 Stelle.
Cosa significa questo successo, cosa indica, di quali bisogni e richieste è effetto ed espressione? Credo che esso sia un effetto della lunga crisi della democrazia italiana; da questo punto di vista non è sorprendente. In forme nuove, e con nuovi strumenti – a cominciare dall’uso intelligente e spregiudicato della Rete – esso sta riuscendo ad intercettare, e a dare voce, alla richiesta, diventata sempre più forte nel nostro Paese, di un profondo e radicale cambiamento della vita politica italiana. Una esigenza, acuitasi nel vivo della crisi sociale, e diventata impetuosa e incontenibile di fronte alla stagnazione e, per certi versi, alla decomposizione del sistema politico e dei partiti della seconda Repubblica, imperniato su una legge elettorale sciagurata, di cui non si misurerà mai a sufficienza il male che ha fatto alla nostra democrazia.
In questo senso il movimento di Grillo interpreta, e dà voce, a esigenze obiettive, reali, come il voto siciliano conferma: esprime i bisogni, e anche il violento risentimento dei «governati» che si contrappongono frontalmente ai «governanti» e alle modalità duramente e strettamente corporative della politica che essi incarnano. Nasce, in sintesi, da una vera e propria crisi di legittimità della rappresentanza, a tutti i livelli, a cominciare da quella parlamentare. Certo, in questi ultimi mesi, il movimento si è giovato di un forte sostegno sia di parte della stampa che della televisione; ma sarebbe sbagliato non capire che i recenti successi hanno un lungo lavoro alle spalle. Così come sarebbe sciocco ridurlo in stereotipi reazionari, perfino di tipo fascista.
Il problema, assai grave ed inquietante, è un altro: ammodernato attraverso la Rete, il movimento 5 Stelle affonda le radici nella ideologia, anzi nella mitologia, della «democrazia diretta», e come tutti i movimenti di questo tipo sfocia in posizioni dispotiche e populistiche. Se non ce l’avessero spiegato i classici, basterebbe l’esperienza politica degli ultimi due secoli a mostrarci quanto sia profondo il nesso tra democrazia diretta e dispotismo. Le dichiarazioni di Grillo sulla sua funzione di capo, le aperture a Di Pietro, il lessico maschilista che usa (e che si sta diffondendo, in modo riprovevole, anche fuori del suo movimento), la ricerca di performances sportive, il disprezzo verso i seguaci che non seguono il Verbo, sono capitoli di un libro conosciuto, assai noto. Altro che novità: se avrà successo, il movimento di Grillo, acutizzerà la crisi della democrazia italiana, e lo farà – ed è questo il punto più grave – dall’«interno» della democrazia stessa, muovendosi sul terreno democratico.
Ma se questa analisi è giusta, per le forze del cambiamento è necessario oggi porre al centro anzitutto la questione della democrazia, mettendo in campo tutte le trasformazioni e le novità necessarie per ristabilire un circuito di comunicazione tra «governanti» e «governati». È qui, lo dico senza enfasi, che si giocano il futuro e il destino della nostra Nazione.
È perciò assai apprezzabile l’insistenza con cui il segretario del Pd ha voluto che si tenessero le primarie, anche rinunciando a una rendita di posizione. Con tutti i loro rischi, e i loro limiti, sono uno strumento opportuno, in un momento così grave di crisi della rappresentanza, che tocca in modo diretto il nodo cruciale della stessa legittimità democratica. È solo in questo modo che si può cominciare a tagliare le radici di movimenti come quelli di Grillo e a spezzare il consenso che cresce intorno a loro, fino ad assorbire personaggi come Di Pietro, avviando, nel campo populista, un processo di semplificazione da non sottovalutare, per gli effetti che può avere sulla riorganizzazione del sistema politico italiano.
Ma, certo, le primarie non bastano, non possono bastare. Quella che appare sempre più chiara, e a questo fine le scadenze di questi mesi possono essere importanti, è la necessita di cominciare a mettere all’ordine del giorno, muovendo dalle esperienze in atto, la costruzione di un partito in grado di motivare, e organizzare in forme nuove, tutte le forze, tutte le energie, le aspirazioni, i bisogni di coloro che si riconoscono negli ideali dell’eguaglianza, della giustizia sociale, della libertà, superando antiche barriere e vecchi steccati. Sulle forze riformatrici italiane è pesata, a lungo, la maledizione della divisione, della contrapposizione, delle lotte intestine. Oggi si può finalmente cambiare, aprire una pagina nuova: ce ne sono le basi, le condizioni. L’Italia è attraversata da un profondo bisogno di rinnovamento, da una fortissima esigenza di liberarsi da un passato pesante, dalla voglia di ricostituire l’orizzonte del futuro, uscendo, finalmente, da una stasi che umilia le migliori energie di un grande Paese. Pane per i denti di un moderno partito riformatore che voglia, e sappia, svolgere la sua funzione nazionale, dando voce a chi tace ma vuole parlare e farsi sentire; e che, se non trova interlocutori, o si chiude nel silenzio oppure si affida alle sirene del potere diretto, senza mediazioni, dispotico.
Se si vogliono ricostituire le basi della nostra democrazia, ridarle forza e legittimità, è anche di qui che bisogna passare.
L’Unità 03.11.12
Pubblicato il 3 Novembre 2012