Come nell’epoca del potere smisurato, Silvio Berlusconi ieri è tornato sui siti giornalistici di tutto il mondo: ma questa volta per una condanna a quattro anni per frode fiscale, con cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Si chiude così, con la sanzione giudiziaria netta, durissima e soprattutto infamante un’avventura titanica nata nella televisione e finita in tribunale: ma che era già morta nella politica, il territorio prima del dominio supremo, poi della caduta e oggi del definitivo declino.
La destra sgomenta per la fine dell’invulnerabilità parla di “ferita alla democrazia”, “caccia all’uomo”, “tentativo di omicidio politico”. In realtà a Milano è arrivato a compimento un processo infinito, con 10 anni di indagini, 6 anni di cammino accidentato in aula per i “mostri disseminati nei codici e nelle procedure” (come diceva Giuseppe D’Avanzo), con il Lodo Alfano, le ricusazioni, i ricorsi, i “legittimi” impedimenti, le prescrizioni brevi e i processi lunghi.
Il cittadino Berlusconi ha dunque potuto far valere le ragioni della sua difesa: il premier Berlusconi gli ha dato una mano robusta e generosa, potenziando quella difesa in aula con congegni di ogni tipo architettati nei palazzi del governo e del parlamento. Ma caduto il governo, cambiati la maggioranza e il clima, incredibilmente il processo è arrivato a sentenza. Accertando una truffa fiscale a cascata con società offshore per l’acquisto di film americani, con il prezzo che saliva fraudolentemente di passaggio in passaggio in modo da creare un tesoro di fondi neri pagati da Mediaset ma stornati su conti riconducibili
a Berlusconi, a danno dell’azienda, dei piccoli azionisti e del fisco.
In questa storia esemplare, più della condanna conta che si sia resa giustizia, e cioè che il processo sia potuto arrivare fino in fondo, rendendo la legge uguale per tutti. E certificando la fine dei due falsi miti dell’uomo di Stato che “ama il suo Paese” e dell’imprenditore che si è fatto da sé: oggi vediamo con quali metodi anti-mercato.
La follia populista potrebbe consigliare al Cavaliere un ritorno spettacolare in campo per una battaglia vecchio stile contro i giudici, incendiando il sistema. Ma anche il fuoco è finito, è il tempo della cenere. Meglio l’abdicazione, e la fuga a Brindisi, cercando qualche Badoglio.
La Repubblica 27.10.12
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Così fu creata la cassaforte segreta”, di MASSIMO GIANNINI
LO hanno chiamato, con un eufemismo, «processo Mediaset». Sedici anni, tra indagini dei pm e conflitti con il tribunale di Milano. In realtà questa condanna del Cavaliere rivela e colpisce il cuore segreto del «Sistema- Berlusconi»: i fondi neri. BUONI per tutti gli usi: evadere le tasse, pagare tangenti. Un metodo collaudato. Non solo in quest’ultimo processo. Con soggetti e oggetti diversi, ricorre anche in altri processi che hanno visto l’ex presidente del Consiglio sul banco degli imputati: dall’affare Mills al caso Mediatrade, fino ad arrivare alle vicende di All Iberian. C’è questo filo rosso, a legare la lunga sequela di inchieste che lo hanno riguardato e accompagnato in questi diciotto anni di avventura politica e di sventura giudiziaria: creare una «provvista riservata», nelle pieghe dei bilanci societari, per farne un uso indebito e improprio. Per tutelare i propri interessi finanziari, e addomesticare i propri guai processuali. Intrecciato a questo, c’è un altro filo: quello della politica, che Berlusconi ha piegato ai suoi bisogni, militarizzando il Parlamento e deformando i codici con almeno diciotto leggi ad personam concepite con l’unico scopo di difendere se stesso «dai» processi, e non «nei» processi. Una storia che merita di essere ripercorsa, a partire dalla condanna appena irrogata dai giudici milanesi.
PROCESSO MEDIASET: SEI ANNI DI “CORPO A CORPO”
Cinquantamila pagine di documenti. Rogatorie internazionali in dodici Paesi. L’inchiesta sui diritti cinematografici Mediaset muove i primi passi nel giugno 2003. I pm della procura di Milano De Pasquale e Robledo aprono l’ennesima indagine su Berlusconi, allora premier, già imputato in altri 7 processi. Indagando sui fondi riservati del comparto estero delle controllate Fininvest, i magistrati scoprono quello che, nella sentenza di ieri, definiranno un «sistema illegale» (guidato dallo stesso Berlusconi anche dopo il suo ingresso in politica) finalizzato alla costituzione di «disponibilità estere» attraverso l’utilizzo di diverse «società offshore». Alcune delle quali, la Century One e la Universal One, si ritrovano anche in altri processi paralleli che riguardano il Cavaliere.
Tutto ruota intorno alla compravendita fittizia di diritti televisivi su altrettanti film. Diritti che secondo i magistrati sono «oggetto di passaggi di mano e di maggiorazioni ingiustificate». Per realizzarli, il Cavaliere si avvale dei soliti, improbabili «mediatori » che ricorrono nelle sue diverse scorrerie finanziarie, inevitabilmente trasformate in traversie giudiziarie (da Mills a Tarantini e Lavitola). Qui il sensale è un egiziano diventato cittadino americano, Frank Agrama, che compra e rivende diritti, gonfiandone il valore, per conto di Berlusconi. Sono «passaggi privi di qualsiasi funzione commerciale,
che servono «solo a far lievitare il prezzo», e dunque a costituire una provvista in nero dentro i bilanci. Per i magistrati il sistema dei costi gonfiati consente così «un’evasione notevolissima». Almeno 270 milioni di euro, sottratti alla società e agli azionisti, e occultati al Fisco. Berlusconi – all’inizio dell’inchiesta indagato per falso in bilancio, appropriazione indebita e frode fiscale insieme ai figli Marina e Piersilvio, a Fedele Confalonieri e ai manager Fininvest Giorgio Vanoni e Candia Camaggi – nega tutto. Ma come scrive Giuseppe D’Avanzo in un articolo del gennaio 2010, il pm Robledo ritiene di poter dimostrare che Agrama acquista i diritti e poi li rivende alle società di Berlusconi «a prezzi enormemente gonfiati». A Los Angeles li compra a cento. A Milano li rivende a mille. La differenza tra cento e mille resta all’estero e Agrama si preoccupa, molto curiosamente, di «restituire» i profitti su conti nella disponibilità di manager Mediaset, in Svizzera, nel Principato di Monaco, alle Bahamas.
LO SCUDO DELLE 18 LEGGI AD PERSONAM
Ce n’è abbastanza per ritenere che quell’Agrama sia un socio occulto di Berlusconi. Come accade in parallelo nel processo Mills, anche qui ci sono testimoni che confermano. Come Bruce Gordon, responsabile della vendite della Paramount, che dichiara: «In Paramount le società di Agrama sono indistintamente indicate come “Berlusconi companies” e l’esposizione creditoria come “Berlusconi receivables” ». Allora Gordon (come poi confermeranno i giudici con la sentenza di condanna di ieri) aggiunge che l’ascesa al governo di Berlusconi non ha mutato la situazione. «Agrama – ricorda il testimone – ci diceva che continuava a riferire a Berlusconi sulle negoziazioni per l’acquisto dei film anche dopo la sua nomina a presidente del Consiglio». Dunque – è la convinzione della magistratura inquirente, ora ribadita anche da quella giudicante – «non esistono gli affari di Agrama, ma soltanto quelli di Berlusconi».
Insomma, fin dall’inizio si capisce che il premier rischia grosso. Comincia così la sua ennesima battaglia contro le toghe. La procedura è quella di sempre: un sabotaggio continuo e sistematico del lavoro dei magistrati. Il 7 luglio 2006, dopo che l’allora ministro
Giustizia Castelli ha bloccato almeno due rogatorie in America ed è stata respinta la richiesta di Ghedini di trasferire il processo a Brescia, il gup Paparella rinvia a giudizio il Cavaliere. Per il Berlusconi imputato, il processo inizia ufficialmente il 21 novembre. Ma nel frattempo, il Berlusconi premier dispiega tutta la sua potenza di fuoco per fermare «i giudici mozza-orecchi». Prima della fine della legislatura, impone alle Camere due micidiali leggi ad personam, quella sulla prescrizione breve e quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio.
Equivalgono a due colpi di spugna. E funzionano. Nel gennaio 2007 i giudici di Milano devono prendere atto dell’avvenuta prescrizione per i reati commessi prima del 1999 e per il falso in bilancio. Resta l’accusa di frode fiscale. Ma per questo c’è già pronta un altro salvacondotto: il nuovo Lodo Alfano, che concede l’immunità (e l’impunità) alle alte cariche istituzionali. A settembre 2008 il processo è sospeso, perché i pm invocano l’incostituzionalità del Lodo. La Consulta gli da ragione, ma intanto se n’è andato un altro anno. Il processo riparte a novembre del 2009. Il Cavaliere è già tornato a Palazzo Chigi, ma non ha più scudi per proteggersi. Ne inventa un altro, e lo fa ingoiare a forza alla sua maggioranza e al Paese. La legge sul «legittimo impedimento». Grazie a questa, per quasi due anni non si presenta alle udienze, e viene dichiarato formalmente «contumace». Si rifa vedere ad aprile 2011, per ammonire il pm De Pasquale: «Lei è quello cattivo?».
È quasi un presagio. A giugno di quest’anno De Pasquale chiede la condanna di Berlusconi a 3 anni e 8 mesi: «Sui soldi dei fondi neri – afferma in aula – ci sono le sue impronte digitali». Non più il «teorema di una magistratura inquisitoria che attenta la democrazia ». Da ieri questa è una sentenza di un tribunale della Repubblica, emessa in nome del popolo italiano. Con un aggravante: il tribunale infligge all’imputato una condanna più pesante di quella richiesta dalla pubblica accusa. Lo fa in ragione della sua comprovata «propensione a delinquere».
I “106 PROCESSI” E LA FALSA TEORIA DEL COMPLOTTO
Questi sono i fatti. L’ex premier, e la sua cerchia di cortigiani, gridano allo scandalo. Già chiusa la parentesi da «statista» che con l’ennesimo «atto d’amore » verso l’Italia si ritira in una sua immaginaria «riserva della Repubblica», l’unto del Signore risfodera
i suoi triti anatemi. Evoca la «persecuzione giudiziaria », la «giustizia a orologeria», il «Paese incivile e barbaro ». Parla di «60 procedimenti subiti in diciotto anni di vita politica». E mente, ancora una volta, come sui suoi processi ha sempre fatto fin dal 1994. Nell’ottobre 2009 dichiara: «In assoluto ho subito 106 processi, tutti finiti con assoluzioni e due prescrizioni ». Nello stesso giorno, la figlia Marina ridimensiona le esagerazioni paterne: «Mio padre tra processi e indagini è stato chiamato in causa 26 volte». Qualche giorno dopo, il portavoce Paolo Bonaiuti la spara più grossa: «I processi contro Berlusconi sono 109».
La verità è un’altra. Anche questa, raccontata più volte da Giuseppe d’Avanzo su questo giornale. I processi affrontati dal Cavaliere come imputato sono stati finora 17. Di questi, 13 sono conclusi. Le assoluzioni sono state solo 3. In un’occasione con formula piena per l’affare «SmeAriosto/1» (la corruzione dei giudici di Roma). Due volte con la formula dubitativa del comma 2 dell’articolo 530 del Codice di procedura penale che assorbe la vecchia insufficienza di prove: i fondi neri «Medusa» e le tangenti alla Guardia di Finanza, dove il Cavaliere è stato condannato in primo grado per corruzione (dichiarato colpevole ma prescritto in appello grazie alle attenuanti generiche; assolto in Cassazione per «insufficienza probatoria »).
I proscioglimenti sono stati 10, propiziati da altrettante leggi ad personam. Riformato e depenalizzato il falso in bilancio dal suo governo, Berlusconi viene assolto in due processi (All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2) perché «il fatto non è più previsto dalla legdella
ge come reato». Due amnistie estinguono il reato e cancellano la condanna inflittagli per falsa testimonianza (aveva truccato le date della sua iscrizione alla P2) e per falso in bilancio (i terreni di Macherio). Per cinque volte è salvo con le «attenuanti generiche» che (attenzione) si assegnano a chi è ritenuto responsabile del reato. Per di più le «attenuanti generiche » gli consentono di beneficiare, in tre casi, della prescrizione dimezzata che si era fabbricato come capo del governo: «All Iberian/1» (finanziamento illecito a Craxi); «caso Lentini»; «bilanci Fininvest 1988-’92»; «fondi neri nel consolidato Fininvest» (1500 miliardi); Mondadori (Cesare Previti compra il giudice Metta, ed entrambi sono condannati).
Questa è dunque la vera storia dei processi del Cavaliere. Quasi sempre è risultato colpevole, ma si è salvato grazie alle norme che lui stesso si è cucito addosso. Per trasformare la sua ossessione giudiziaria nell’ossessione di un’intera nazione.
La Repubblica 27.10.12
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“Enormi somme sottratte al fisco”, di PIERO COLAPRICO
Il condannato Silvio Berlusconi ha mostrato «nell’esecuzione del disegno criminoso » una «particolare capacità a delinquere». Da una frase come questa, da un simile identikit giudiziario, non si torna indietro. GLIELO volevano dire forse da tempo, i giudici milanesi, e gliel’hanno detto ieri. L’accusa aveva chiesto tre anni e otto mesi, la prima sezione penale gliene ha dati quattro. Perché?
“PERVICACE PER VENT’ANNI”
In sei anni di processo è emersa davanti agli occhi dei giudici quella che chiamano «rilevante gravità della vicenda criminosa». Una vicenda «caratterizzata da una rilevantissima entità d’importi sottratti al fisco». Una distrazione di fondi esercitata «in modo pervicace per un periodo durato vent’anni ». Questo sistema, semplice ed efficace, si nascondeva tra paradisi fiscali e società fantasma: e quel «ruolo di ideatore dai primordi di attività delittuosa» spetta per i magistrati a Silvio Berlusconi. Con la sua speciale e «naturale capacità a delinquere – ripetiamo – mostrata nell’esecuzione del disegno criminoso».
Solo grazie alle attenuanti generiche concesse in tre vecchi processi era sfuggita all’imputato e già condannato Berlusconi la qualifica di «delinquente abituale ». Oggi è il passare delle stagioni che non perdona. Specie se si è di fronte – questa la frase che risuona nell’aula di giustizia – a «un preciso progetto di evasione che si è esplicato in un arco temporale molto ampio, in un vasto ambito territoriale e con modalità molto sofisticate». Si lasciano tracce, e a volte le si scoprono.
LA SLEALTÀ
«Nemmeno si può ignorare – si legge nelle 90 pagine di motivazioni – la produzione di un’immensa disponibilità economica all’estero ai danni dello stato e di Mediaset, che ha consentito la concorrenza sleale ai danni delle altre società del settore». È questa una caratteristica che, dal caso Sme al Lodo Mondadori, accompagna non raramente le imprese imprenditoriali di Berlusconi, prima aiutato dal potere spregiudicato e lungimirante di Bettino Craxi e, dopo Tangentopoli, dalla sua capacità di giocare su tutti i tavoli in proprio: editore, magnate, premier, politico.
LA “DISCESA IN CAMPO”
Il caso Ruby Rubacuori e le feste di Arcore, con intercettazioni e verbali di confessioni varie, hanno più recentemente dimostrato la difficoltà dell’imputato Berlusconi a discernere tra sfera pubblica e sfera privata. Ma anche in questo processo Mediaset, mai mollato dal sostituto procuratore Fabio De Pasquale, è venuto a galla che Berlusconi «gestiva il sistema anche dopo la discesa in campo» nella politica. Gli veniva facile, per i contatti diretti con le persone coinvolte, a cominciare dal vecchio amico Faruk (detto Frank) Agrama. È Berlusconi che «resta sempre al vertice » delle manipolazioni dei conti ed «è inverosimile che qualsiasi dirigente Mediaset abbia congegnato tale sistema e che la società abbia subito per 20 anni danni da milioni di euro». Era sempre Berlusconi che «conoscendo perfettamente il meccanismo, ha consentito che tutto proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni strategiche le persone da lui scelte». E in questo modo s’è procurato i fondi neri e ha frodato il fisco sino agli anni 2002 e 2003 (per il 2001 il reato è prescritto).
CONFALONIERI ASSOLTO
Per farsi sorprendere da queste parole poco diplomatiche sull’evasore fiscale ed ex premier, bisogna essere – e va detto con chiarezza – o molto berlusconiani, o molto smemorati. Fedele Confalonieri è il cervello di Mediaset e tra gli storici compagni di ventura di Berlusconi è l’unico l’unico – ad essere stato (di nuovo) assolto. Il braccio finanziario ed ex segretario Marcello Dell’Utri si dibatte tra soldi spariti e accuse pesantissime di mafia. È stato condannato l’avvocatone Cesare Previti per i suoi maneggi con la magistratura corrotta. Pure il fratello minore Paolo ha avuto non pochi guai giudiziari. Ma lui, Silvio, il ragazzo nato nel quartiere popolare dell’Isola e diventato ricchissimo, il dominus, il burattinaio di questi e di altri condannati di Mediaset e dintorni, sinora s’era sempre messo in salvo. Perché non aveva fatto nulla di male? Oppure perché era riuscito a «proteggersi» dalle condanne facendo persino cambiare dal parlamento reati, leggi, procedure?
“EVASIONE NOTEVOLISSIMA”
Esisteva un conto corrente, «Northern Holding», gestito da uno dei prestanome di Craxi. Su quel conto tanti imprenditori italiani versavano oboli milionari. C’è però un triplice versamento senza nome e firma, nell’ottobre 1991. Quindici miliardi. Vengono dal conto «All Iberian» della Sbs di Lugano. Si scoprirà molto tempo dopo Tangentopoli che quel conto appartiene certamente a una delle società che per Berlusconi ha creato l’avvocato londinese David Mackenzie Mills, al «gruppo B di Fininvest very secret». Parte da lontano, dunque, questo sistema «fraudolento», privo di «una logica commerciale». Infatti, scrivono i giudici, «i prezzi hanno subito dei rincari non giustificati», ma utili a realizzare «una evasione notevolissima ». E non è casuale che i vertici della società ancora oggi non riconoscano «l’illiceità di quanto accertato». Parla il giudice Edoardo d’Avossa, piovono parole come pietre: sembra che gli ombrelli giudiziari non si aprono più a proteggere questo ex leader di 76 anni, questo imprenditore che si era fatto premier, ed era riuscito a correre più
veloce delle leggi.
La Repubblica 27.10.12
Pubblicato il 27 Ottobre 2012