Il problema dei lavoratori rimasti senza reddito a causa della riforma delle pensioni del ministro Fornero torna in primo piano. Lo scorso mercoledì alla commissione Lavoro della Camera è stato votato all’unanimità un emendamento alla legge di Stabilità che affronta questo tema e che si propone di tutelare altri lavoratori al di là dei 120 mila salvaguardati in precedenza. Il governo, in quella sede, ha dato ancora una volta un parere contrario sul tema delle coperture finanziarie. L’emendamento rappresenta un passo importante verso la soluzione di un problema di così ampia rilevanza sociale. Ed è significativo che sotto il nome del primo firmatario, il Presidente della commissione Silvano Moffa, ci siano le firme di tutti i capigruppo, di maggioranza e di opposizione.
In precedenza la commissione Lavoro aveva approvato la proposta di legge 5103, di cui ero il primo firmatario, trasformata in testo unico con l’abbinamento di altre due proposte dell’Idv e della Lega. Contro di essa si erano levati gli strali della Ragioneria dello Stato che aveva contabilizzato la necessità di coperture miliardarie (nella somma delle voci qualcuno aveva azzardato la cifra di 30 miliardi di euro), di alcuni commentatori politici e di rappresentanti di partito che insistevano sul fatto che la «proposta Damiano» avesse l’obiettivo di smontare la riforma pensionistica del ministro Fornero. In particolare si puntava l’indice su un articolo (articolo 1 comma 1) che veniva accusato di voler ritornare alle pensioni di anzianità e ai «gradini». Lo stesso governo si associava al coro dimenticando un piccolo particolare: che la proposta era stata suggerita dallo stesso ministro del Lavoro nella seduta alla Camera del 20 giugno scorso. Riportiamo, per precisione, il passo del discorso: «Da ultimo, sempre nella valutazione del costo collettivo e dell’impatto sul trattamento previdenziale, si potrebbe considerare di ricorrere ad una norma per estendere il retroattivo contributivo anche per gli uomini – ricordo che tale norma è già in vigore per le donne (con 57 anni di età e 35 di contributi possono andare in pensione, ndr) – come opzione di scelta da demandare a lavoratore e azienda». Per iniziativa di un parlamentare del Pdl, questa proposta è stata inserita nella mia proposta di legge. Domanda: chi voleva smontare la riforma?
Dopo la cortina fumogena sollevata ad arte da buona parte dei media, noi abbiamo continuato a lavorare con ostinazione per risolvere il problema di persone disperate che hanno visto allontanarsi il traguardo della pensione anche di quattro o cinque anni e che, essendosi licenziate nel corso del 2011, rimarranno per lungo tempo senza reddito. Nessuno vuole fare spot elettorali o cancellare riforme: il nostro obiettivo è semplicemente quello correggere un errore. Il nuovo emendamento ha tenuto conto di alcuni suggerimenti: in primo luogo abbiamo eliminato la proposta Fornero, quella che consentiva anche agli uomini, con il calcolo tutto contributivo, di andare in pensione con 57 anni di età e 35 di contributi (la Ragioneria ha stimato un costo di sette miliardi, anche se il ministro ha detto che solo poche donne l’avevano utilizzata. Potenza delle cifre!). Inoltre abbiamo circoscritto la salvaguardia a due anni cruciali: il 2013 e 2014. Le cosiddette famiglie di lavoratori da tutelare sono state individuate in modo specifico, come del resto già indicato dalla precedente 5103: lavoratori esodati o che hanno sottoscritto accordi di mobilità territoriale; lavoratori che hanno proseguito volontariamente il versamento dei contributi volontari; lavoratori che sono stati licenziati individualmente; insegnanti ai quali è stato calcolato l’anno solare e non quello scolastico; macchinisti delle ferrovie e alcuni lavoratori del settore marittimo; dipendenti del settore creditizio. Si tratta di situazioni da risolvere, i cui esempi abbiamo indicato più volte al governo. Infine, per le coperture finanziarie, abbiamo adottato lo schema del fondo proposto dall’esecutivo già nella legge di Stabilità. Un fondo che deve essere previdenziale e non assistenziale, nel quale far confluire diverse risorse: i nove miliardi già stanziati per salvaguardare i primi 120.000 lavoratori, vincolando gli eventuali risparmi per tutelare altre persone; i 100 milioni stanziati dal governo; le risorse che si ricavano da una tassa di solidarietà per la parte eccedente i redditi di 150.000 euro; infine, la clausola di salvaguardia già individuata in precedenza (quella relativa ai tabacchi), nel caso le risorse non fossero sufficienti. È stato fatto un ottimo e serio lavoro unitario, durato alcuni mesi, che ha ricevuto nella giornata di ieri il plauso di tutti i sindacati e che ha l’obiettivo di ascoltare il Paese reale. Mi è parsa stonata la voce di Confindustria contraria alla tassazione degli alti redditi, «gli unici che consumano…». Vogliamo rassicurare viale Dell’Astronomia: se quelle risorse di solidarietà chieste ai redditi alti aiutano a mandare in pensione chi oggi non ha reddito, otteniamo due obiettivi: ridiamo spazio ai consumi, in questo caso popolari, e offriamo un segnale di equità al Paese. Non ci dispiace il fatto che i sacrifici, per una volta, vengano equamente distribuiti. La legge di Stabilità ha bisogno di radicali cambiamenti: tra le priorità abbiamo sicuramente anche quella di una correzione al sistema pensionistico nel senso dell’equità sociale.
L’Unità 26.10.12
Pubblicato il 26 Ottobre 2012