Quando si passa alle vie legali non è mai buon segno. E’ vero che la litigiosità cresce un po’ ovunque. Ma è inutile addolcire la pillola: c’è un linguaggio demolitorio, un’aggressività dei toni unita, un vittimismo esasperato, un’implicita delegittimazione in alcune parole d’ordine che spinge le primarie in zona di pericolo. Sarebbe bene darsi una regolata. A meno che qualcuno non abbia davvero intenzione di provocare una rottura postuma. C’era un tempo in cui si diceva tutto il bene possibile delle primarie. Che avrebbero portato consensi ed entusiasmo, senza alcuna controindicazione. Le primarie sono un segno distintivo del Pd, della sua idea di democrazia e anche del suo desiderio di cambiamento del sistema politico: ma le primarie contengono rischi. E in talune occasione hanno prodotto sconfitte e lacerazioni. Bisogna dunque tenere la guardia alta. E mantenere un certo grado di coesione tra i competitori: la condivisione minima riguarda proprio la responsabilità dell’impresa.
Se oggi c’è tanta attenzione sulle primarie, questa è dovuta certamente al fatto che il Pd è il solo «partito» rimasto in campo. Crediamo che sia dovuta anche alla grande domanda di partecipazione, diffusa tra i cittadini di ogni orientamento. Questa è indubbiamente una grande opportunità per il centrosinistra. Ma è anche la leva per operazioni ostili al Pd. Non c’è dubbio che tanti soggetti esterni oggi progettano incursioni (anche solo mediatiche) per allargare le divisioni interne fino a decretare una incompatibilità politica. Condividere la responsabilità dell’impresa vuol dire condurre la sfida senza introdurre tossine tali da trasformare l’avversario interno in avversario integrale. Vuol dire sfruttare la simpatia esterna senza assecondare il disegno di chi, non potendo più sperare in una rivitalizzazione del centrodestra prima delle elezioni, scommette tutto su una scomposizione del Pd (dopo le primarie, o dopo le successive secondarie).
La questione riguarda il destino stesso del Pd. Va oltre le primarie di oggi, e va anche oltre Bersani e Renzi. Attenzione: le primarie sono state concepite dal segretario del Pd come una prova di coraggio e di umiltà verso una società inquieta e delusa, che chiedeva al maggior partito e al suo gruppo dirigente di rimettersi in discussione, di rischiare. Non tutti erano convinti che le primarie fossero la strada giusta. Ma tutti sapevano bene che il Pd doveva lanciare un segnale coerente con quella «riscossa civica» che sta chiedendo al Paese. Il problema è l’entità del rischio. Non si rischia solo una sconfitta. La politica è fatta di vittorie e di sconfitte, e anche chi sta all’opposizione è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità verso il Paese.
Nel rischio, stavolta, c’è il futuro del Pd. Che è sopravvissuto a tre sconfitte elettorali (caso unico nella storia repubblicana per un partito nato da una fusione). Ma che ora deve riuscire a mantenere la propria unità nella previsione di una possibile vittoria. Rompere il Pd sarebbe semplicemente un delitto. Non è vero che la sinistra si libererebbe di un equivoco e i liberal acquisterebbero una centralità fin qui negata. È vero invece che salterebbe in aria la sola robusta alternativa al fallimento della destra italiana e dei conservatori europei. E sarebbero più deboli, molto più deboli sia le ragioni della sinistra che quelle dei cattolici democratici e di chi pensa che in Europa sia giunto il tempo di una svolta. Brinderebbero i soliti noti: quelli che applaudono Grillo come hanno applaudito Berlusconi, e che magari sperano che dalle primarie del Pd esca banalmente la conferma del «governo tecnico».
L’Unità 24.10.12