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"Processo alla previsione", di Stefano Rodotà

È buona norma, di fronte a sentenze di particolare rilevanza, ricordare che un giudizio adeguato esige la lettura delle motivazioni. Tacere, quindi, fino a quando queste saranno conosciute? Ma la pesante condanna dei componenti della Commissione Grandi Rischi solleva troppi interrogativi.
Diventa quindi legittimo cercare di individuare almeno i punti critici intorno ai quali già si è avviata una discussione che richiama i dubbi e le emozioni che accompagnarono subito il terribile terremoto che colpì quella città.
La condanna è stata pronunciata per omicidio colposo, disastro colposo e lesioni personali, con riferimento al fatto che la Commissione avrebbe dato informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie sulla pericolosità della situazione dopo le scosse che si erano registrate nei mesi precedenti al terremoto del 6 aprile 2009. Il punto chiave, allora, diventa quello delle modalità delle informazioni fornite e del modo in cui queste erano state elaborate. Un processo alla scienza, la porta aperta a qualsiasi ciarlatano che lancia allarmi senza un adeguato fondamento? La risposta è affidata alle motivazioni della sentenza, anche se gli elementi disponibi-li, messi in evidenza dalla requisitoria del pubblico ministero, orienterebbero le valutazioni piuttosto verso la frettolosità del lavoro della Commissione, le modalità del comunicato diramato alla fine della veloce riunione, la dichiarata volontà dell’allora responsabile della Protezione civile di utilizzare la Commissione per rassicurare la popolazione di fronte a un allarme ritenuto ingiustificato. Così delimitata la materia del giudizio, non sarebbe la scienza ad essere sotto accusa, ma i comportamenti specifici delle persone riunite d’urgenza in quella mattinata, di chi ha scritto il comunicato, di chi guidava la Protezione civile. Questa precisazione, tuttavia, non sarebbe sufficiente se si concludesse in modo sbrigativo che il rischio terremoto sfugge alla possibilità scientifica della previsione, sì che ricercare responsabilità individuali sarebbe una forzatura. Allo stesso tempo, però, il riferimento all’uragano Katrina, fatto dal pubblico ministero, appare improprio, perché in quel caso la negligenza era evidentissima di fronte ad un rischio ormai evidente.
Allontanandoci da posizioni tanto divaricate, è possibile provare a fare qualche riflessione intorno agli effetti che la sentenza è destinata comunque a produrre. È indubbio, infatti, che diverrà particolarmente difficile acquisire le competenze necessarie per svolgere funzioni così delicate. Quali studiosi accetteranno domani di far parte della Commissione Grandi Rischi? E, comunque, non si manifesterà una attitudine simile a quella che ha dato origine alla cosiddetta “medicina difensiva”? Proprio di fronte al rischio di dover risarcire possibili danni, si sono radicati comportamenti volti non a garantire la salute del paziente, ma a mettere il medico al riparo da quella eventualità. Ecco, allora, la prescrizione infinita di accertamenti preventivi, di analisi forse inutili, fino alla rinuncia ad effettuare interventi ritenuti troppo rischiosi non per il malato, ma per il chirurgo.
Forse, di questa attitudine difensiva abbiamo già avuto una prova in occasione dell’allarme recente su un nubifragio a Roma, rivelatosi in buona parte infondato, ma che evidentemente rifletteva la volontà di non trovarsi di nuovo di fronte ad una emergenza incontrollabile, com’era avvenuto in occasione della memorabile nevicata dell’inverno scorso. Meglio questo, si dirà, che far correre rischi alle persone. Ma un regime di allarme permanente e generalizzato, non filtrato da alcuna valutazione scientifica, può alterare le dinamiche sociali, produrre costi ingiustificati.
Nella sentenza di ieri si riflette un bisogno diffuso di individuare comunque responsabilità singole anche in situazioni complesse. Questo non vuol dire che, per evitare simili distorsioni, debbano svanire le responsabilità individuali. Dobbiamo piuttosto interrogarci su quali siano i modi più corretti per affrontare questioni difficili in una società sempre più spesso definita appunto come quella del rischio e dell’incertezza. Ma questa definizione non assolve dall’obbligo di apprestare strumenti, anche giuridici, adeguati al modo in cui si manifestano e si sommano problemi vecchi e nuovi. Basta ricordare il rilievo assunto da principi come quelli di prevenzione e di precauzione, che hanno determinato anche un modo diverso di costruire i criteri della valutazione scientifica. La scienza non è mai stata un mezzo per sottrarsi alle responsabilità.

La Repubblica 23.10.12

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“Capri espiatori” di Marco Cattaneo*

Sei anni di reclusione in primo grado per “omicidio colposo plurimo”. Questa la sentenza dell’Aquila nel processo ai sette membri della Commissione grandi rischi. Come si dice in questi casi, per commentare bisogna attendere le motivazioni della sentenza.
Ma forse qualcosa si può dire già ora.

Cominciando dal verbale di quella riunione. L’ho letto e riletto una dozzina di volte, oggi, dopo aver ascoltato l’inquietante procedura di lettura della sentenza, e non mi è sembrato di trovarvi alcuna informazione che fosse “imprecisa, incompleta e contraddittoria”, come emerge dalle cronache. Mi sembra invece che un gruppo di tecnici, tra cui alcuni dei più esperti sismologi di questo paese, abbia analizzato secondo lo stato delle conoscenze una situazione che si protraeva da sei mesi, osservando che non si poteva trarre alcuna indicazione sulla possibilità che si verificasse un sisma di magnitudo elevata.

È questo è un fatto. Dal protrarsi di una sequenza sismica di bassa magnitudo non si può prevedere un evento più intenso. Chiunque affermi il contrario è in malafede, e dà informazioni false e illusorie a chi gli presta ascolto.

E allora perché questa sentenza? Forse per le dichiarazioni di Bernardo De Bernardinis successive a quella riunione, testimoniate da questa intervista. L’accento si pone sulle parole rassicuranti, sul bicchiere di Montepulciano. Ma prima di tutto De Bernardinis parla del rassicurare e tranquillizzare la popolazione di Sulmona (!) messa in allarme pochi giorni prima per l’annuncio di un imminente sisma che mai si è verificato. Parla di avere uno stato di attenzione senza avere uno stato d’ansia, di vivere serenamente la propria vita quotidiana. Insomma, invita a non lasciarsi prendere dal panico. E il bicchiere di vino arriva solo su esplicito invito dell’intervistatore. Voi che cosa avreste risposto alla domanda posta in quei termini? Io forse avrei risposto allo stesso modo, senza temere per questo di diventare un assassino.

Diversamente invece avrebbe potuto risparmiarsi il passaggio in cui affermava che lo scarico di energia rendeva più improbabile un terremoto di forte magnitudo, e la conferma degli scienziati della commissione, di cui agli atti non c’è traccia.

Prima di tutto, allora, una considerazione. Se le parole tranquillizzanti sono venute dalla protezione civile (e non mi risultano interventi in tal senso di Boschi o Selvaggi, per esempio), perché la condanna è identica per tutti?

Ma poi ci sono considerazioni molto più profonde. Perché Enzo Boschi e Giulio Selvaggi erano il presidente e il responsabile del Centro nazionale terremoti di quello stesso Istituto di geofisica e vulcanologia che nel 2004 aveva redatto la Carta della pericolosità sismica in cui L’Aquila era classificata in zona 1, ovvero come le aree di maggiore sismicità. Quella Carta, risultato di una mole di studi dell’INGV, doveva essere la bussola per le aree di massima attenzione. E invece qualcuno ha declassato L’Aquila a zona 2, ragion per cui lì si è potuto continuare a costruire con gli stessi criteri di zone di pericolosità molto inferiore.

Indipendentemente dalle motivazioni di questa sentenza, dunque, ho la sensazione che la ricerca dei responsabili si sia fermata al bersaglio più facile, trovando nei membri della Commissione grandi rischi i capri espiatori ideali per lo sport nazionale, lo scaricabarile. Perché se queste sono le unità di misura mi aspetterei condanne per omicidio volontario plurimo, non colposo, per i costruttori in odore di mafia che hanno edificato con la sabbia bagnata, per chi ha chiuso un occhio o forse tutti e due, per chi ha omesso i controlli. E per chi con la leggerezza di un tratto di penna ha spostato L’Aquila in zona 2. Ma ho paura che aspetterò invano.

Certo sarebbe il peggior messaggio possibile se unici responsabili di un simile scempio risultassero i sette membri della Commissione grandi rischi. Di certo, per ora, c’è che è per loro la prima condanna. E anche questo, a modo suo, è un primato che questo paese non ha voluto farsi mancare.

* direttore Le scienze

dal Blog di Marco Cattaneo