attualità, politica italiana

"Commissari nel 2013. Pronto il decreto sulle nuove Province. Niente deroghe. Aboliti 36 enti", di Lorenzo Salvia

Niente da fare per Benevento, che invocava la «storia del territorio sannita», e nemmeno per Rovigo, che sul piatto metteva la «peculiarità del Polesine». Giorni contati per Treviso, troppo piccola di appena 23 chilometri quadrati, e per Terni, che pur di sopravvivere aveva suggerito il trasloco a qualche Comune dalla vicina Perugia. La nuova cartina delle Province italiane è agli ultimi ritocchi: arriverà con un decreto legge all’esame del primo Consiglio dei ministri di novembre.
Una mappa che mette insieme le proposte che stanno arrivando in queste ore dalle Regioni. E che respinge le tante richieste di deroga, applicando senza sconti le regole fissate con la legge sulla spending review : le Province che hanno meno di 350 mila abitanti o un’estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati dovranno essere accorpate con quelle vicine. Considerando solo le Regioni a Statuto ordinario, le Province scenderanno da 86 a 50, comprese le dieci Città metropolitane. Quelle tagliate saranno trentasei, alle quali bisogna aggiungere un’altra decina di cancellazioni nelle Regioni a statuto speciale, che però hanno sei mesi di tempo per adeguarsi e decideranno loro come farlo. Le uniche che potrebbero essere recuperate sono Sondrio e Belluno. Per il resto palla avanti e pedalare.
«Non possiamo pensare che una riforma importante come questa — dice il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi — possa venir meno solo per delle resistenza localistiche». Anzi. Per mettere al sicuro il risultato ed evitare la tentazione del dietrofront, vedi campagna elettorale e nuovo governo, il decreto prevede un processo a tappe forzate. Dalla fine di giugno del 2013 tutte le Province, anche quelle che non si vedranno toccare i confini, saranno guidate da un commissario. Toccherà a lui curare la transizione verso il nuovo regime. Un’accelerazione non da poco perché la legge sulla spending review lasciava intendere che sarebbero andate a scadenza naturale, mentre nelle Città metropolitane il processo sarebbe dovuto partire all’inizio del 2014. Resta da decidere solo se il commissario sarà esterno, nominato dal prefetto, o se il ruolo verrà affidato al presidente uscente della Provincia.
Più probabile la seconda ipotesi perché, nei limiti del possibile, si andrà incontro alle richieste del territorio. È il caso della Basilicata. La Regione avrà una sola Provincia ma vorrebbe spostarne la sede a Matera, lasciando invece a Potenza gli uffici regionali. Si può fare. Pronti al confronto anche sugli uffici periferici dello Stato, come le questure o le prefetture. Il decreto dice che ci sarà una «consultazione del governo con il territorio» in modo da spalmare la presenza dello Stato. Per capire: se la nuova Provincia di Modena e Reggio Emilia avrà la sede politica a Modena, la questura o la motorizzazione potrebbero andare invece a Reggio. Cosa succederà ai dipendenti? «Nell’immediato — dice il ministro — non ci sarà una contrazione del personale ma ci potrebbe essere uno spostamento fisico. Naturalmente i criteri di quest’operazione andranno studiati con un esame congiunto insieme ai sindacati».
Una modifica riguarderà anche il nuovo sistema elettorale, quel meccanismo di secondo livello con i consiglieri eletti non più dai cittadini ma dai consiglieri comunali sul quale a giorni si pronuncerà la Corte costituzionale. La sostanza non cambierà ma i voti saranno ponderati per evitare che, all’interno dei nuovi consigli provinciali, i Comuni piccoli pesino come quelli grandi. Ci siamo, insomma. «Qualche intoppo può sempre arrivare — dice Patroni Griffi — ma faremo di tutto per superarlo». E non finisce qui. «Bisognerà andare avanti riflettendo sia sulle dimensioni delle Regioni sia sul numero dei Comuni: sono 8 mila, troppi, e la metà ha meno di 5 mila abitanti». Un altro decreto, sulle macro Regioni e le fusioni dei Comuni? «Per carità, tocca a chi ci sarà nella prossima legislatura».
Il Corriere della Sera 22.10.12
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Le Province si difendono con una guerra di cavilli. Entro domani le proposte di riordino, di Antonello Cherchi, Giuseppe Latour, Francesco Nariello
Riordino con deroga per le province. La voglia di cancellare le amministrazioni che non rientrano nei parametri fissati dal Governo (2.500 chilometri quadrati e almeno 300mila abitanti) è poca e quasi tutte le regioni sono a caccia di scorciatoie. I giochi sono praticamente fatti. Entro domani le quindici amministrazioni regionali a statuto ordinario devono inviare a Palazzo Chigi le proposte di riorganizzazione del loro territorio. Dopodiché la palla passerà nelle mani dell’Esecutivo, che deve disegnare la nuova geografia.
Compito che si prospetta assai complicato, perché le ipotesi di riordino che stanno per arrivare sul tavolo di Palazzo Chigi hanno, in gran parte dei casi, cercato di aggirare i paletti fissati dal Governo. Solo l’Emilia Romagna e la Liguria hanno, infatti, definito una proposta che rispetta le indicazioni dell’Esecutivo. È pur vero che diverse amministrazioni decideranno all’ultimo momento, tra oggi e domani, ma la prospettiva appare ormai delineata: salvare il salvabile attraverso la richiesta di deroghe. La lista delle eccezioni da Nord a Sud è lunghissima. A conti fatti, più della metà delle regioni manderà – a meno di aggiustamenti dell’ultimo minuto – una proposta che non si attiene alle regole.
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Il record delle deroghe richieste appartiene alla Lombardia. Qui, l’ipotesi presentata dal Cal già prevedeva tre eccezioni (Monza-Brianza, Sondrio e Mantova). Ma la giunta, con una delibera che sarà formalizzata oggi, chiederà di lasciare invariato l’attuale assetto, invocando, di fatto, otto deroghe per mantenere in vita le province fuori parametri. In attesa dell’esito del ricorso che la Lombardia ha presentato alla Corte costituzionale. Il fronte giuridico, però, finora non ha arriso alle amministrazioni, che si sono ritrovate sconfitte davanti al Tar. Nei giorni scorsi, infatti, il tribunale amministrativo del Lazio ha respinto la richiesta di sospensiva, avanzata da alcune province, della delibera con cui il Governo a fissato i criteri del riordino.
Insomma, le si tenta tutte perché niente cambi. Come in Veneto, che avrebbe dovuto cancellare quattro province – Rovigo, Belluno, Padova e Treviso – e invece alla fine si è deciso di mantenere gli attuali confini. Lasciando così la “patata bollente” al Governo. Una situazione che assomiglia a quella del Lazio. Dove anche la presidente Polverini ha deciso di impugnare davanti alla Consulta la norma che impone la riorganizzazione. E, per coerenza con questa scelta, non presenterà alcun piano di riassetto. La strada, d’altra parte, risulta obbligata: due grandi province – con l’accorpamento di Viterbo a Rieti e Latina a Frosinone – e la città metropolitana di Roma.
Magmatica la situazione pure in Toscana, dove le amministrazioni da tagliare erano addirittura nove, con il Cal che è faticosamente arrivato ad avanzare due ipotesi, le quali prevedono rispettivamente, quattro o cinque province più Firenze. Tutto però è rimandato alla decisione che il Consiglio prenderà oggi.
Per completare il quadro delle eccezioni restano altri cinque casi, dove le soluzioni individuate sono spesso fantasiose. La Basilicata chiede, in prima istanza, di lasciare tutto com’è oppure, in subordine, di formare la “provincia unica di Lucania”, con Matera capoluogo di provincia e Potenza capoluogo di regione. L’Umbria propone di trasferire alcuni comuni da Perugia a Terni. La Campania di salvare Benevento per ragioni storico-culturali. Il Molise di barattare la sopravvivenza di Isernia con una riforma degli enti sub-regionali. E le Marche sperano di mantenere Macerata, a cui mancano poche migliaia di abitanti rispetto a quanto chiesto dal Governo.
Il Sole 24 Ore 22.10.12