attualità, pari opportunità | diritti, politica italiana

"Incandidabili solo sei parlamentari", di Claudia Fusani

Gli incandidabili sarebbero appena sei. Sei sui ventuno condannati. A tanto ammonta il numero dei parlamentari che rischiano se il governo riuscisse ad approvare le norme sulla incandidabilità previste dalla delega contenuta
nella legge anticorruzione. La norma che il ministro dell’Interno sta scrivendo, anzi ha già praticamente scritto, prevede infatti che non sarà più possibile candidare chi ha una condanna dai tre anni in su per reati gravi e dai due anni in su per i reati contro la pubblica amministrazione. Da più parti si è espressa soddisfazione per il probabile arrivo di questo provvedimento che impedisce di vedere condannati sui banchi delle Camere. E però le cose non stanno così perché la soglia è così alta che toccherà solo alcuni.
Quattro. Se va bene sei. Forse sette, perchè non è facile radiografare il certificato penale di ognuno. A tanto ammonta il numero dei parlamentari non più candidabili quand’anche il governo facesse in tempo ad esercitare la delega sulla non candidabilità di deputati e senatori condannati.
I quattro espulsi dal Parlamento sono il senatore pdl Giuseppe Ciarrapico; il deputato pdl Marcello De Angelis; il senatore pdl Antonio Tomassini e il senatore pdl Salvatore Sciascia: hanno tutti pene definitive superiori ai due anni. Incerti, dipende da come sarà scritta la delega, sono Aldo Brancher, deputato pdl, sottosegretario per una settimana; Marcello Dell’Utri, senatore pdl; Antonio Del Pennino, subentrato nel 2010 nelle file del pdl al Senato al posto del fu Comincioli e ora senatore unico del partito Repubblicano.
Ci deve essere qualcosa che non torna: o il nostro è un Parlamento pulito e la carica dei 101 con pendenze, indagini e condanne è un solo brutto e sbagliato luogo comune. Oppure la tanta sventolata norma sulla incandidabilità come segno della svolta è un miraggio.
La norma che il ministro dell’Interno sta scrivendo, anzi ha già praticamente scritto, su delega del Parlamento nell’ambito della legge contro la corruzione prevede infatti che non saranno più candidabili coloro i quali hanno una condanna dai tre anni in su per reati gravi e dai due anni in su per i reati contro la pubblica amministrazione. Da più parti si è gridato osanna perchè finalmente arriva una norma che permette di non vergognarsi più di un Parlamento ad alta intensità di persone con lunghi curricula di reati e ipotesi di reato.
Pura illusione. Il centinaio circa, contati secondi parametri che comprendono le categorie degli indagati, a giudizio, condannati in primo e secondo grado e condannati definitivi, prescritti e indultati, si riduce infatti alle dita di una mano. Per vari motivi.
I condannti definitivi in effetti sono più di venti. Ma i più hanno condanne di pochi mesi come Massimo Berruti (8 mesi per favoreggiamento in corruzione, processo per le tangenti alla Guardia di Finanza), Umberto Bossi (8 mesi per finanziamento illecito), Enzo Carra (Udc, 16 mesi), Antonino Papania (Pd, due mesi e 20 gg). Senza voler dire di Rita Bernardini, la battagliera radicale, condannata a quattro mesi per cessione gratuita di marijuana: serve per la media ma di certo non qualifica.
Poi c’è il piccolo drappello degli incerti. Quelli per cui non è chiaro se la norma sull’incandidabilità scatterà oppure no. Non è chiaro infatti come ci si regolerà quando la pena inflitta in via definitiva è pari a due anni. E quando la condanna è stata decisa sulla base di un patteggiamento. In questa categoria rientrano alcuni casi veramente speciali. Marcello Dell’Utri, ad esempio: il senatore fondatore di Publitalia, pur al centro di non si sa più quanti processi (concorso esterno, P3, corruzione), ha una condanna definitiva solo per frode fiscale pari a due anni patteggiati. Aldo Brancher è stato condannato definitivo nel 2011 a due anni (rito abbreviato, ha poi beneficiato dell’indulto) per appropriazione indebita e ricettazione nell’ambito della scalata Antonveneta. Il senatore Del Pennino, attuale membro unico del partito Repubblicano, ha patteggiato nel 1994 due anni per le tangenti Enimont. Rispetto ad altri curricula, resta un galantuomo. Vincenzo Fasano è condannato definitivo a due anni per concussione. Che succede poi a chi è stato condannato al risarcimento per danno erariale? Ci sono tre o quattro casi.
Tra certi e incerti, i numeri restano comunque piccoli. Perchè assai vasta è la variegata platea degli indagati e condannati in primo e secondo grado ma ancora in attesa di sentenza definitiva.
Sono più di ottanta. Tra questi il cavalier Berlusconi, Cosentino e Cesaro, indagati per associazione camorrista; Milanese indagato per la P4; Papa, Fitto, Sergio De Gregorio, il responsabile Grassano, Giuseppe Firrarello; la deputata del pd Maria Grazia Laganà, condannata in primo grado per truffa; il generale Speciale, quello delle spigole inviate in montagna con gli aerei della Finanza, anche lui ancora non si sa se è colpevole oppure no.
Un lungo elenco interamente esentato dal divieto della candidabilità. Certo, la norma impone la decadenza dal seggio e dall’incarico appena la sentenza diventa definitiva. Ma in Italia l’85 per cento delle condanne per reati contro la pubblica amministrazione è inferiore ai due anni. Anche in futuro, quindi, potrà cambiare poco.
l’Unità 20.10.12