Occorre ripartire dalla ricerca e dall’innovazione. Lo ha detto ieri Pier Luigi Bersani, inaugurando la sua campagna per le primarie ma anche la campagna elettorale della prossima primavera dal Cern di Ginevra, il centro europeo che è il tempio della fisica mondiale. Ma lo hanno anche ribadito 68 premi Nobel americani che ieri hanno pubblicato una lettera di sostegno alla rielezione del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Ci sono almeno due punti di contatto tra i due pronunciamenti avvenuti ai due lati opposti della’Atlantico. Il primo è squisitamente politico: a pronunciarli sono persone che non solo sono di area progressista e che riconoscono il valore strategico a ogni livello della scienza. Ma anche di persone che ravvisano nella destra attuale, in Italia come negli Stati Uniti, un’incapacità strutturale, a comprendere che gli investimenti pubblici nella ricerca hanno un valore strategico per l’intero Occidente. Il secondo elemento, strettamente collegato al primo, è di politica economica, oltre che culturale. Viviamo nell’era della conoscenza. E i Paesi occidentali non hanno altra opzione che investire nella produzione di conoscenza e nella innovazione tecnologica per risolvere i problemi interni ed essere competitivi a livello globale. I 68 premi Nobel che hanno sottoscritto l’appello a favore di Obama sanno che da almeno sessant’anni a questa parte l’85% della ricchezza prodotta negli Stati Uniti è il frutto della capacità di innovazione fondata sulla ricerca scientifica. In particolare sulla ricerca scientifica, di base e applicata, finanziata con fondi pubblici. Questo è il grande motore dell’economia americana. Il democratico Obama lo sa e per questo punta le sue carte sulla conoscenza. Il repubblicano Romney e tutta la destra americana a partire dagli anni di George W. Bush sembrano averlo dimenticato e per questo, sostengono i 68 premi Nobel, faranno la rovina degli Stati Uniti. Il discorso vale anche per l’Italia, sia pure con le dovute differenze. La destra italiana è infatti in perfetta sintonia con Willard Mitt Romney: basti ricordare quel significativo «con la conoscenza non si mangia» pronunciato da ministro che ha dettato la politica economica nel nostro Paese per quasi tutto il ventennio berlusconiano. Che il segretario del maggior partito del centrosinistra, che probabilmente (ce lo auguriamo) avrà in carico la guida del Paese dopo le prossime elezioni, indichi nella ricerca e nell’innovazione la leva per ripartire fa ben sperare. D’altra parte l’Italia, ma a ben vedere anche il resto dell’Europa, il Nord America e il Giappone, non hanno alternative se non «credere nella conoscenza» se vogliono evitare il declino economico e il processo di progressivo dumping sociale che è il risultato (non inatteso) delle politiche neoliberiste. Per alcuni motivi ben noti. I beni ad alto contenuto di conoscenza aggiunto (i beni hi-tech) sono quelli che negli ultimi decenni hanno avuto la crescita maggiore nel mondo. Le imprese che li producono sono quelle che remunerano meglio i loro addetti (e meglio rispettano i diritti del lavoro). Queste produzioni si realizzano nei paesi che investono di più in educazione e ricerca scientifica. Queste produzioni sono quelle che, sia pure in maniera non scontata, meglio consentono di sviluppare il welfare state. Non a caso i paesi del Nord Europa, dove massimi sono gli investimenti in educazione e ricerca, sono quelli che, da un lato, hanno affrontato meglio la crisi e la nuova globalizzazione dei mercati, e dall’altro hanno una migliore distribuzione della ricchezza e uno stato sociale più avanzato. Inoltre caratteristica niente affatto secondaria sono quelli in cui l’impatto ambientale delle attività industriali è minore. Per dare corpo alle parole di Bersani, il programma di governo del centro-sinistra dovrà contenere, dunque, maggiori investimenti in ricerca scientifica e maggiori investimenti nella scuola di ogni ordine e grado. Proponiamo qualche numero: passare dallo 0,6% all’1% del Pil nella spesa pubblica per la ricerca e dallo 0,9 ad almeno il 2% nella spesa pubblica per le università. Tenendo presente che oggi in Corea del Sud i giovani nella fascia d’età compresa tra 25 e 34 anni sono il 63% del totale; quelli dei Paesi Ocse il 40%, l’Italia non arriva al 20% e il trend è addirittura in diminuzione. L’ignoranza è una condizione che non possiamo più permetterci. Ma tutto questo deve essere accompagnato da un lucido e rapido programma di «nuova industrializzazione», ovvero di cambiamento della specializzazione produttiva del sistema Paese, passando dalla dominante produzione di beni a basso o media tecnologia a bene a una produzione dominante di beni e servizi ad alta tecnologia. Solo in questo modo potremo passare da una ventennale condizione di stagnazione /recessione a una nuova crescita. E solo così un governo di centrosinistra potrà qualificare la crescita, trasformandola in sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.
L’Unità 20.10.12
Pubblicato il 20 Ottobre 2012