«L’orizzonte della conoscenza che ci si apre davanti impone di ridisegnare il ruolo degli insegnanti». Una dichiarazione impegnativa quella del ministro Profumo. Ancor più impegnativa dal momento che è arrivata dopo alcuni giorni nei quali si sono inseguite voci, anticipazioni e mezze smentite di un presunto piano del governo per portare l’orario di insegnamento dei docenti della scuola secondaria a 24 ore settimanali, con conseguente riduzione delle supplenze annuali assegnate ai precari.
Il ministero nei primi giorni non ha chiarito il contenuto preciso della proposta e per giorni si è discusso di problemi importanti, ma specifici: se questo carico di lavoro aggiuntivo fosse o meno a parità di salario, se consistesse in docenza o altre attività (corsi di recupero, funzioni strumentali, organico funzionale…), se riguardasse solo gli spezzoni di orario e le supplenze brevi oppure no… Una responsabilità in questo è anche di chi ha scelto di gettare benzina sul fuoco, commentando una bozza. Magari per migliorare la resa di uno sciopero che rischiava – in assenza di “stimoli” – di fallire, oppure per alzare il prezzo di una trattativa (lo sblocco degli scatti di anzianità?), preparandosi una volta di più a far pagare ai precari i benefici di chi è dentro il fortino della contrattazione nazionale.
Ma questa volta la responsabilità del governo è superiore. Perché dimostra scarsa coerenza con le cose enunciate fino a qui sull’importanza di immettere risorse più la fresche nella scuola italiana. Stiamo ancora aspettando un nuovo concorso – per ora solo annunciato per il 2013 – aperto anche ai neo laureati che si abiliteranno quest’anno: che senso ha diminuire in modo significativo il numero delle cattedre disponibili?
Ma l’errore principale è quello di aver cominciato dalla fine e non con dichiarazioni del tenore di quella che ho ricordato. Pensare di discutere di una questione così importante prendendola dal capo della produttività è il modo migliore per mettere in difficoltà le forze politiche, le associazioni professionali e il mondo della scuola più attenti all’esigenza di innovare profondamente il modo di fare scuola. Se in gioco c’è «ridisegnare il ruolo degli insegnanti», come si può immaginare di cominciare da questioni meramente sindacali ed economiche? Come si può pensare di farlo in una norma inserita nella legge di stabilità? Come si può ignorare che si tratta di temi oggetto di contrattazione sindacale? Il governo non poteva immaginare modo migliore per mettere la parola fine a qualsiasi ragionamento su una possibile riforma della professionalità docente.
Il fine non è il carico di lavoro, che può essere conseguenza di un modo diverso di intendere la professione nel suo complesso. Formazione in servizio obbligatoria, valutazione, possibilità di differenziare ruoli e funzioni, carriera. E su tutto la riorganizzazione del modo di stare a scuola e in classe. I cambiamenti intervenuti nel modo di apprendere e nell’organizzazione della società, impongono anche una presenza dei docenti non limitata alle sole ore di lezione? Sì, ma perché questo sia possibile, vanno ripensati non solo i carichi orari ma gli edifici stessi delle nostre scuole. Uffici per i docenti, aule e laboratori attrezzati, spazi concepiti diversamente. In una sola parola, risorse. Che si possono trovare, a patto che non siano distribuite a pioggia, ma finalizzate agli obiettivi che il governo vuole darsi.
Il ministro sa che la sfida che la scuola italiana ha davanti è molto impegnativa e che deve assolutamente superarla se vogliamo costruire un sistema educativo più eguale ed efficace, più giusto ed europeo, più capace di valorizzare i talenti del nostro paese, qualsiasi mestiere facciano e da qualsiasi paese provengano i loro genitori. Il ministro sa anche che le resistenze a questo cambiamento sono tante. Tantissime peraltro proprio all’interno del ministero che lui dirige.
Anche per questo la politica del bastone e della carota non è la scelta migliore. Solo un ministro ha l’autorità (e nel caso di quello attuale anche l’autorevolezza) per imporre un dibattito di questa portata. A patto che si impegni in quella direzione nel poco tempo che gli resta prima della fine della legislatura. Forse non soddisferà le richieste del ministro dell’economia, ma certamente avrà posto le basi perché il suo successore possa riuscire nell’impresa.
Voli alto, signor ministro! Così, togliendo ogni alibi, sconfiggerà i conservatorismi ministeriali, sindacali e corporativi e avrà al suo fianco i tanti che vogliono che le cose cambino. La scuola non potrà che guadagnarci.
da Europa Quotidiano 18.10.12