L’Italia non sarà più un paese con una università di massa. Non è più in grado di garantire il suo dettato costituzionale per il quale, all’articolo 34, «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». C’è una fuga dall’università italiana. Secondo Alma Laurea quest’anno c’è stato l’8% di immatricolazioni in meno. Totalmente in controtendenza con il resto d’Europa, dove siamo ultimi per studenti laureati, dopo la Turchia. E quell’8 per cento in meno sono figli di operai che hanno rinunciato a fare i dottori. Per il futuro prossimo non ci si aspetta una inversione di tendenza. Quest’anno il decreto legislativo 68/2012 sul diritto allo studio e la spending review che interviene sulle tasse universitarie costituiranno un’ulteriore gradino per le famiglie meno abbienti. Un’indagine Adiconsum ha rilevato come ogni ateneo ha applicato gli aumenti in una «giungla di distinzioni e differenziazioni che hanno reso il costo dell’Università una stangata per le famiglie». «Il sistema della tassazione universitaria rivela Adiconsum non garantisce pari opportunità di studio a tutti gli aventi diritto, tagliando fuori studenti fuori sede, con reddito basso e lavoratori».
RINCARI E ALIQUOTE Se La Sapienza di Roma ha aumentato del 50% le tasse agli studenti per i fuori corso, in quella di Bologna si sfiorano i 4000 euro. All’Aquila sarà applicata solo l’imposta di bollo regionale da 150 euro. A Firenze le tasse vanno da 367 euro (1417 per i corsi con laboratori) a 3654 euro. A Cagliari si parte da 367 euro fino a 2891 euro ma c’è la maggiorazione per i fuori corso. A Milano i cittadini con il reddito più basso, cioè con un’Isee di 20.000 euro, rispetto all’anno scorso subiranno un incremento di circa il 30%. A tutto ciò si aggiunge il rincaro dei libri di testo (mediamente 420 euro per le facoltà umanistiche, 750 per le scientifiche e fino a mille euro per Medicina o Architettura) e dei trasporti, il prezzo esorbitante degli affitti. «Per il fuorisede studiare diventa proibitivo – commenta Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum – se anche lo studente prendesse una borsa di studio l’importo non gli servirebbe a coprire le spese e si dovrebbe rivolgere al solito ammortizzatore della famiglia. Allora è ovvio che i figli dei lavoratori o quelli dei pensionati sono penalizzati. Si sta configurando un’università per redditi alti». Il ricercatore Alessandro Ferretti dell’assemblea nazionale “Università Bene Comune” nota: «Gelmini, prima, e governo Monti, adesso, si ispirano a una università che non è un bene del Paese ma è un bene del singolo che la frequenta perché l’ha pagata. Questo è un danno perché dell’università ne beneficia l’intero stato: l’Ocse evidenzia come l’istruzione diffusa comporti non solo un aumento di cultura ma anche del Pil, della partecipazione politica, della fiducia dei cittadini, più soldi alla collettività. Consentire l’accesso solo a pochi privilegiati non ha senso».
ICONTI DI LINK Link, coordinamento studentesco presente in 17 città, ha fatto un po’ di conti: «Dal 2006 al 2011 sono stati prelevati dalle tasche degli studenti 283 milioni in più spiega Luca Spadon, portavoce nazionale Questa è solo la contribuzione universitaria, poi c’è stato l’aumento delle tasse per il diritto allo studio, alcune più che raddoppiate, poi la tassa di laurea, poi l’aumento della tassa per i test per numero chiuso. Definanziano la scuola e l’università e recuperano con l’aumento della contribuzione, intanto riducono le borse di studio, il risultato è che espelli gli studenti più deboli». Spadon ragiona anche sulle norme che alzano le tasse ai fuori corso. «Chi va fuori corso per la maggior parte dei casi ha necessità di lavorare – ragiona Spadon sono pochissime gli atenei che riconoscono la figura dello studente lavoratore ma pretendono il contratto regolare, è assurdo. Uno che lavora in un bar a nero è massacrato. Ma per il resto delle università il lavoratore non esiste e chi si mantiene da soo è doppiamente penalizzato». «L’Italia sta rinunciando all’università di massa», chiosa Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil. «Il diritto allo studio non è più garantito. Diciamo al ministro: anziché pensare ai prestiti stile Usa che indebitano gli studenti rimetta i soldi lì». Per la FlcCgl la situazione dell’accesso al grado più alto dell’istruzione è ormai drammatica. «L’aumento delle tasse previsto dala spending review, la demolizione del diritto allo studio, oltre il 50% delle facoltà a numero chiuso, questo combinato ha come conseguenza che i figli delle famiglie meno abbienti non posso accedere all’università, che il sapere non è per tutti, peraltro in una condizione generale del paese in cui la tua carriera dipende da che famiglia vieni. Per i figli della povera gente non c’è prospettiva».
L’Unità 18.10.12