Vorrei cercare di svolgere una riflessione pacata e nei limiti del possibile distaccata sulla questione così dibattuta in questi mesi della cosiddetta «rottamazione». Un termine infelice che allude però a un problema reale con cui occorre confrontarsi. E bisogna farlo anche perché la polemica ha assunto, specie negli ultimi giorni, toni miseri, anche penosi, e ha coinvolto direttamente personalità di primo piano della nostra vita politica.
Prendo le mosse da una considerazione preliminare: ogni «corpo misto» (per riprendere l’espressione di Machiavelli) ha bisogno di rinnovarsi, di riformarsi, se non vuol morire. Né è detto che rinnovandosi continui a vivere: la fine, la morte sono in modo inesorabile nell’orizzonte della storia. Di questo fatto hanno avuto piena e complessa coscienza tutti i grandi leader politici, i quali si sono impegnati, in modo costante, in questa azione di rinnovamento e di ricambio.
Ma il rinnovamento ed è questa la seconda osservazione da fare non è un fatto generazionale (anche questo un termine equivoco): è un problema di carattere politico ed anche etico-politico la cui importanza e la cui urgenza è da valutare, volta per volta, a seconda della situazione storica in cui viene proposto e, quando possibile, attuato.
Le domanda da porre diventano quindi queste: qual è oggi la situazione della democrazia italiana? Ha bisogno, e in che misura, di un profondo rinnovamento e di un ricambio? E a quali livelli? Né è possibile rispondere in modo corretto a queste domande se non si tiene conto di quello che ha significato nella storia italiana il ventennio berlusconiano. È da qui che occorre prendere le mosse per capire la direzione da prendere.
Il berlusconismo ha generato una crisi radicale della nostra democrazia; ha portato al diffondersi di posizioni populistiche sia a destra che a sinistra; soprattutto ha determinato una separazione mai così aspra e violenta tra governanti e governati da cui, per contrasto, è scaturita e si è diffusa a livello di senso comune una forte e impetuosa ondata anti-politica, anti-partiti, anti-parlamentare che ha confuso in un fascio solo vinti e vincitori, perseguitati e persecutori. Non è giusto, lo so bene, ma è così che stanno le cose a livello di sensibilità assai diffuse: se non fosse così, come si spiegherebbe il successo di Grillo e la forte e violenta richiesta di democrazia diretta che anima tutti i suoi seguaci? Da un lato c’è disprezzo verso la politica e i partiti, dall’altro una fortissima esigenza di partecipazione e la tentazione di farsi giustizia da soli. Non per nulla Grillo ha evocato i tribunali popolari come strumenti di questo nuovo potere democratico parola, anche questa, che si è svuotata di significato, come avviene nei tempi di crisi.
L’esigenza del ricambio politico ed etico-politico nasce proprio qui: perché concerne, direttamente, la questione della degenerazione e del destino della democrazia italiana. È in questo contesto eccezionale e non ordinario che va posta, e apprezzata, la decisione di Bersani di aprire le primarie a Renzi, modificando lo statuto del Pd. Ha ritenuto giustamente che in tempi come i nostri il problema dei rapporti tra governanti e governati sia diventato cruciale e che occorra fare di tutto, mettendo in gioco anche se stessi, per cominciare a suturare lo strappo tra dirigenti e diretti che attraversa le viscere dell’Italia, con conseguenze che è perfino difficile immaginare. Insomma, con la sua scelta Bersani ha posto il problema politico ed etico-politico,della democrazia italiana. E lo ha fatto riconoscendo giustamente anche il ruolo politico che, su questo terreno, oggi gioca Renzi. Le cose vanno viste per quello che sono, senza lasciarci abbacinare dai pregiudizi: il sindaco di Firenze, usando strumenti e parole d’ordine che possono piacere o dispiacere, allestendo spettacoli più o meno interessanti, sta contribuendo in ogni caso a ristabilire un canale di comunicazione tra cittadini e politica. Sta, in altre parole, facendo uno sforzo che può giovare alla nostra democrazia, se il punto massimo della crisi concerne il rapporto tra politica, partiti, democrazia. È un contributo da non sottovalutare.
Questi sono i termini reali del problema che, lo ribadisco, è politico ed etico-politico, non generazionale. Ma è proprio un effetto della crisi della nostra democrazia se oggi è difficile metterlo a fuoco nei suoi reali termini, senza precipitare in polemiche volgari. Né si tratta di un’eccezione: oggi è diventato normale confondere sovranità dei cittadini, ruolo dei partiti, funzione del Parlamento e anche problemi politici e problemi generazionali. Oggi le parole si sono svuotate, hanno perso peso ponendo con forza l’esigenza di un nuovo linguaggio, di un nuovo lessico all’altezza dei tempi e della situazione.
È in questo contesto difficile e complicato che va posta anche la questione della candidatura di importanti personalità della nostra vita politica, sottraendola ai riti tribali cui sembra essersi ridotta, ma considerando con l’attenzione necessaria il dilemma, anche personale, esistenziale oltre che politico, che essa pone. Come non capire, infatti, che senza la loro presenza il Parlamento sarà meno autorevole, meno forte? Che non bisogna mai fare di ogni erba un fascio? Certo, la politica non si risolve nel Parlamento, anche questo è vero ed è stato osservato. Ma è un’osservazione ordinaria, una risposta insufficiente. I nostri sono tempi duri, eccezionali, veramente straordinari.
Il problema di fondo è un altro e riguarda la costituzione interiore dell’Italia: se quello che si è appena detto è vero, come non vedere che nel Paese esiste, ed è violenta, un’ondata anti-politica che ha assunto anche una forma generazionale e che va frontalmente contrastata nell’unico modo possibile: individuando i motivi che ne sono al fondo e cercando, con tutti gli strumenti a disposizione, di proiettarla e dirigerla in un orizzonte democratico e parlamentare, evitando le derive della democrazia diretta e plebiscitaria, di matrice populistica? Certo, possono essere alti i prezzi da pagare. Ma questo è il problema, e questo è oggi il nostro comune orizzonte, anche quello del Partito democratico. Nelle polemiche sulla «rottamazione» è in gioco qualcosa di profondo, che richiede una riflessione complessa, e che chiama ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità.
L’Unità 17.10.12