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"Bersani: non chiederò a D’Alema di candidarsi", di Simone Collini

«Io non chiederò a D’Alema di candidarsi. Io non chiedo a nessuno di candidarsi. Io non sono quello che nomina i deputati. Io farò applicare la regola: chi ha fatto più di quindici anni per essere candidato deve singolarmente chiedere una deroga alla direzione nazionale». Bersani quasi si sorprende della sorpresa suscitata da queste sue frasi, dall’enfasi data alla notizia, come titolano i siti web in tempo reale mentre parla a Repubblica tv, della sua decisione di “scaricare” D’Alema.
Il leader del Pd, poco dopo mentre sul fronte pro-Renzi già si canta vittoria per il «Bersani rottamatore» (Roberto Reggi dixit), lo spiega allo stesso presidente del Copasir che con quell’uscita voleva sottolineare che non spetta al segretario fare le liste elettorali, che voleva dimostrare che è vero che non è del Pd il modello dell’uomo solo al comando e che contrariamente di quel che avviene a destra le regole da questa parte si fanno rispettare. Un chiarimento che però solo fino a un certo punto cancella l’amarezza di D’Alema nel vedere Renzi esprimere soddisfazione per le presunte conquiste del fronte “rottamatore” e ribadire, come il sindaco di Firenze fa da Carrara, che «è giusto che il gruppo dirigente che ha fallito vada a casa».
Bersani è convinto che via via si renderà chiaro che lui vuole «innovare ma non rottamare» e che questa discussione su chi ha più di 15 anni di permanenza in Parlamento troverà una composizione positiva prima che si tenga la direzione del Pd che dovrà decidere sulle deroghe: «Si può essere protagonisti senza essere parlamentari». Non è però passato inosservato che alla riunione con i parlamentari convocata da Bersani a sera per discutere delle prossime sfide, a cui partecipano oltre duecento tra deputati e senatori (compresi veltroniani come Walter Verini o ex-popolari come Beppe Fioroni) D’Alema non si fa vedere.
Ora però Bersani vuole spostare l’attenzione su altre questioni che non siano le ricandidature in Parlamento (ora si aggiunge Arturo Parisi alla lista di chi fa un passo indietro). Già nel corso del videoforum a Repubblica tv il leader del Pd parla per un’ora di legge elettorale («se rimane il Porcellum faremo le primarie per scegliere i parlamentari»), costi della politica («quanto fatto non è sufficiente»), dell’intenzione di fare un confronto con gli altri candidati alle primarie («alla grande»), dell’opportunità di prevedere norme per la sfida ai gazebo («ora basta vittimismi»). L’uscita su D’Alema viene però enfatizzata e rilanciata dal fronte pro-Renzi, con il coordinatore della sua campagna Reggi che non risparmia bordate. Dice il responsabile Enti locali del Pd Davide Zoggia: «Come si può dedurre da una sua dichiarazione di oggi “Ora non ci resta che aspettarli uno a uno sulla riva del fiume” per Reggi l’obiettivo dell’impegno politico non sembra essere la risoluzione dei problemi che affiggono il Paese ma l’eliminazione dei componenti del suo stesso partito». La battuta sui cadavari portati dal fiume non è piaciuta neanche a Stefano Fassina, che parla di dichiarazioni «squallide e inaccettabili». Dice il coordinatore del comitato Bersani Roberto Speranza che il leader de Pd «assieme a tutto il gruppo dirigente, ha da tempo promosso un ampio rinnovamento in molti punti chiave del partito e delle istituzioni, capisco che siamo in campagna elettorale ma c’è un limite a tutto».
La questione delle ricandidature e delle deroghe per chi ha alle spalle più di 15 anni in Parlamento verrà affrontata dopo le primarie e anche dopo che sarà chiaro quale sia la legge elettorale con cui si andrà a votare. Ovvero, non prima di gennaio o febbraio.
Ma intanto c’è già chi prevede che questi attriti possano influire proprio sulla discussione in corso sul sistema di voto che dovrebbe sostituire il “Porcellum”. Fioroni, conversando alla Camera con i giornalisti, sintetizza la giornata dicendo che Bersani e D’Alema «si son dati due schiaffoni, e Renzi, tramite Reggi, dice che aspetta i cadaveri e porta sfiga». Per l’ex ministro «una cosa è certa: così non vinceremo le elezioni».
Fioroni dice però anche che ci sarebbe un modo per disinnescare gli scontri interni. «Speriamo che passino le preferenze, così eviteremo a Reggi di aspettare. Dovrà aspettare solo se stesso», dice alludendo al fatto che i renziani possono contare su una limitata base di votanti. A favore delle preferenze si è già espresso anche il vicesegretario Enrico Letta.
E anche D’Alema, prima ancora che nell’Aula del Senato approdasse una proposta di legge elettorale che prevede le preferenze, aveva invitato a non demonizzare questo sistema di voto, facendo notare che i rischi di campagne elettorali troppo costose possono essere evitati prevedendo dei collegi piccoli.
L’Unità 17.10.12
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“Rinnovare, non rottamare. Per far vincere le capacità”, di Enrico Rossi e Andrea Manciulli
Rinnovare, rottamare. È giunto il momento di dirsi non solo che c’è differenza tra un termine e l’altro ma che l’idea della rottamazione, in quanto sancisce la secca cesura con la memoria storica e i valori a cui la classe dirigente della sinistra italiana ha affidato la formazione della propria cultura politica, è il contrario del rinnovamento. Rottamare, nell’accezione in cui oggi la parola viene usata nella politica, non implica né battaglia di idee né discussione intorno ai progetti per uscire dalle difficoltà ereditate da vent’anni di berlusconismo; promette un tutto e subito, solleticando propensioni populiste e affidandosi a uno slogan demagogico dove si perde traccia del duro campo dell’azione politica e della maturazione democratica della nuova progettualità politica; le sue parole guida sono oblio e punizione, l’idea non detta ma diffusa è che facendo piazza pulita della nomenclatura si intenda avere mano libera anche rispetto alla storia che l’ha prodotta, lasciando il campo a una presa del potere non accompagnata dal corredo democratico di una trasparente dichiarazione della società che si intende costruire. Rottamare, in breve, è una pseudo risposta politica che sembra derivare strettamente dalla crisi di competenza, politica, etica, gestionale, quale appare oggi il vero lascito berlusconiano. Non a caso è soprattutto un concetto mediatico che non accetta nessuna verifica se non quella del successo in termini di consenso irrazionale, dove non trovano posto progetti e proposte che impegnano il leader davanti ai cittadini chiamati a chiedergli conto.
Rinnovare, come ha scritto su queste colonne Michele Prospero, implica un ricambio che «accompagni il riconoscimento collettivo del merito acquisito nella lotta politica da giovani dirigenti, amministratori, militanti». È un tentativo di definire il criterio del merito all’interno del necessario rinnovamento del Pd a cui ben pochi hanno prestato attenzione. Ma è un passaggio fondamentale. Per questo il vero rinnovamento parte dal valutare chi ha svolto funzioni politiche, tenendo conto di successi ed errori, come dirigente cui far giocare un ruolo importante nei processi formativi di chi prenderà il suo posto. Non serve nessuna rottamazione catartica, ma un ricambio fondato su criteri di competenza e capacità, qualità che non si acquisiscono tutte e subito e che necessitano di un vaglio collettivo.
Per questo noi riteniamo importante indicare due punti. Il primo, è una proposta: creare in Italia una scuola di alti studi politici e amministrativi sull’esempio dell’Ena francese, capace di una forte capacità selettiva e aperta a tutti, senza distinzione di censo e senza essere ostaggio del vizio tutto italiano della raccomandazione, il cui scopo è avviare la formazione di una classe dirigente di livello europeo, di grande qualità e preparazione. Negli ultimi anni la politica ha subito un grave decadimento in termini di qualità e capacità culturali, sono arrivati in parlamento soubrette e avventurieri i cui unici meriti sono stati l’aver frequentato studi televisivi ed essere disponibili a cambiare bandiera. Ma essere telegenici non basta. Al contrario, come ha dimostrato l’arrivo sulla scena di Mario Monti, qualità intellettuali e professionali sono requisiti indispensabili per ridare autorevolezza alla politica, addirittura si sono rivelati l’unico strumento per riacquistare rispetto e considerazione dagli altri partner dell’Unione. Dunque, non si esce dalla crisi della politica con proposte spot che solleticano gli istinti più bassi degli elettori, ma cominciando a ricostruire competenze e qualità della politica.
Il secondo punto è l’urgenza di un rinnovamento morale che recuperi il senso di solidarietà da cui è nata la politica. Questo senso morale ha assunto le sembianze del nuovo stile e del nuovo modo in cui chi fa politica deve stare nelle istituzioni. Ed ha il volto del presidente Napolitano. È uno stile ispirato a sobrietà e grande attenzione al bene pubblico che già fu proprio dei politici che condussero l’Italia dai disastri della guerra agli anni del miracolo economico, alla sua progressiva e sempre più piena democratizzazione. Questo senso etico del bene istituzionale del Paese è la prima via da percorrere oggi per ridare prestigio e autorevolezza all’Italia. Per questo, noi pensiamo che Pier Luigi Bersani sia il leader che garantirà il ricambio della classe dirigente nel rispetto di chi c’era prima e nel recupero di una dimensione morale della politica che non è se non muove dalle sue radici e dalla sua storia.
* Presidente Regione Toscana ** Segretario Pd della Toscana
L’Unità 17.10.12