La democrazia riceve il Nobel per la Pace. Perché ha trasformato l’Europa da continente di sanguinosi e atroci conflitti a unione di intenti nella libertà e nella tolleranza, le condizioni che creano la pace e allontanano le ragioni della guerra. È la democrazia che ha portato i popoli europei a creare un’unione e a godere di un benessere largo del quale hanno beneficiato sia i molti che i pochi. Ed è la democrazia ad essere in grave crisi oggi, insieme all’identità dell’Unione Europea, insieme alla crescita delle diseguaglianze sociali e, come si vede nell’umiliata Grecia, insieme alla pace sociale. L’Italia è sull’orlo di questo ciclo vorticoso di crisi e instabilità. Per ragioni simili e diverse a quelle che segnano i paesi del Sud Europa.
L’Italia è ad un tempo un laboratorio e un monito di questa fase di appannamento del regime democratico. Ezio Mauro parlava su questo giornale di democrazia malata, descrivendo i sistemi di corruzione che coprono tutta la penisola, le gravissime combutte dei politici eletti con la malavita organizzata che ha suoi uomini nel governo della regione più ricca ed europea del paese, nel profondo nord trasformato in un libero mercato delle camarille e della spartizione mafiosa del bene pubblico. L’origine dei mali sta dentro la politica. Sta nella sua pratica generalizzata, usata come un grande affare per sé, la propria famiglia, i propri amici, la propria fazione. Familismo immorale e clientelismo cronico. Con l’aiuto questa volta – ecco l’aspetto preoccupante – della riscrittura delle regole (di quel brutto Titolo V della Costituzione
scritto sotto la dettatura della Lega e dei partiti «nuovi») affinché fare affari senza lacci e con pochi controlli diventasse prassi ordinaria, nel nome della sussidiarietà. Nella politica ha allora trovato il proprio porto franco una società civile affamata di risorse ottenute con poca fatica, di privilegi, di complicità illecite. Il marcio è nelle istituzioni perché è fuori. C’è davvero poco di che illudersi a leggere le cronache di queste settimane. Eppure non c’è un altrove dal quale attingere per trovare le risorse che dovranno risanare la nostra democrazia. E quindi occorre che cittadini onesti e pubblica opinione con senso di responsabilità e amore della verità vogliano mettere la loro consapevolezza e la loro fatica al servizio di questa democrazia malata.
Amare la democrazia tuttavia non è facile quando questa non sa essere convincente abbastanza, non sa dare segnali espliciti che vale la pena rendere un servizio buono alla società. Perché mentre i comitati mafiosi e politici delle amministrazioni regionali demoliscono il bene pubblico, il governo degli onesti tecnici non sa proporre altro che l’erosione dei due pilastri della cittadinanza democratica: la scuola e la sanità. Ad un anno dal suo insediamento, questo governo di emergenza economica non è ancora riuscito a produrre un disegno di legge sulla corruzione mentre è riuscito con più di un intervento a continuare nell’opera di dimagrimento dei servizi pubblici buoni e utili, ad appesantire le contribuzioni delle fasce medie e basse, a rendere il lavoro più precario. Il governo della democrazia dovrebbe fare uno sforzo per
prendere decisioni che favoriscano la maggioranza della popolazione, e invece, gli sforzi sembrano andare nella direzione contraria. Questa politica è improvvida, soprattutto in questo momento di grave crisi di credibilità del sistema. Perché il rischio è che l’appello ai cittadini onesti cada nel vuoto se la democrazia non si dimostrerà conveniente per tutti – conveniente in senso buono, perché fa il bene dei suoi cittadini. Coltivare la scuola pubblica e non privarla anno dopo anno di risorse vitali; difendere la struttura sanitaria pubblica: su queste scelte la democrazia misura la sua capacità di convincerci che è un bene per tutti difenderla. Ma se tutto viene depauperato, non solo la legalità e la legittimità, bensì anche questi beni che generazioni di cittadini hanno costruito, allora c’è il rischio che in molti pensino che in fondo la democrazia non ha poi così tanto valore.
Ecco perché nel laboratorio Italia si combattono due battaglie: per l’onestà e per la giustizia sociale; per la democrazia delle regole e per la democrazia del welfare. Se queste due battaglie sono tenute disgiunte, se la prima battaglia non è affiancata dalla seconda, allora molti cittadini già provati dalla crisi e attoniti di fronte allo sciacallaggio delle loro risorse possono provare indifferenza per il malanno della democrazia. Il Nobel che l’Unione Europea si è guadagnato è un monito e un incitamento a tenere unite queste due battaglie in tutti i paesi europei, perché c’è il rischio serio che un passo più in là nella direzione sbagliata la democrazia si trovi a vivere il suo tramonto.
La Repubblica 15.10.12