Giorno: 14 Ottobre 2012

"Ora un'agenda che affronti la crisi del lavoro", di Laura Pennacchi

La caduta o il rallentamento del reddito e della produzione che si stanno verificando in tutto il mondo sono tali che ormai la parola «recessione» non appare più adeguata a descrivere con chiarezza i fenomeni in atto Per alcuni Paesi l’intensità del decremento (in Italia sommando il 2012 e il 2013 si arriverà a superare il -3%) di per sé rende più appropriata la parola «depressione». Ma in generale la durata della crisi, la sua prevedibile estensione se perdura l’approccio dell’austerità «a tutti i costi», fanno pensare che siamo di fronte a una vera e propria rottura nelle traiettorie di sviluppo. Le pratiche monetarie promesse da Draghi per la Bce – tuttavia subordinate a una condizionalità che potrebbe rivelarsi un capestro per i Paesi richiedenti – e quelle ancor più «rivoluzionarie» praticate da Bernanke per la Fed, per quanto «non convenzionali», non possono essere sufficienti a far intraprendere all’economia mondiale una nuova rotta. Specie se l’Europa rimane prigioniera dell’austerità restrittiva e deflazionistica imposta dalla Merkel e contrastata da Hollande e a livello globale la leadership …

Pd, battaglia sul manifesto “Avanti senza il Professore”, di Giovanna Casadio

Il manifesto dell’alleanza Pd-Sel-Psi diventa un caso. Dal testo spariscono i ringraziamenti all’attuale premier ed è subito polemica. Casini attacca Bersani: «È un grave errore». L’orizzonte fissato è “oltre Monti” e fa perno su dieci parole chiave e qualche paletto, soprattutto per quanto riguarda le future intese. Per Giuseppe Fioroni «il patto con Vendola è ad alto rischio, nella carta d’intenti dei riformisti è sancito l’impegno ad allearsi con i centristi». Il “manifesto” del centrosinistra di governo dà l’addio a Monti. Pd, Sel e Psi firmano un «patto vincolante» che prevede decisioni a maggioranza e una clausola anti-crisi, cioè lealtà al premier scelto con le primarie per i cinque anni di legislatura. La “carta d’intenti” è in dieci punti, da cui è scomparso ogni riferimento al premier Monti e alla sua agenda. Cancellato quel ringraziamento che c’era nel testo del Pd («Il nostro posto è in Europa, lì dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di portarci»), per lasciare posto a una frase secca: «Noi collocheremo l’Italia nel cuore di un’Europa da ripensare su basi democratiche». …

"Il Ventennio di Formigoni l’uomo vittima del suo potere", di Michele Brambilla

Forse più della mannaia dei leghisti colpisce il silenzio di quello che una volta era il suo mondo. Nessuno, a quanto pare, considera più difendibile Roberto Formigoni: neanche gli amici, i quali per tempo, ma inutilmente, gli avevano consigliato di cambiare frequentazioni e di abbandonare supponenza e ostinazione. Finisce così, salvo colpi di scena (quando c’è di mezzo la Lega c’è sempre da aspettarsi di tutto) una delle più lunghe monarchie della democrazia italiana. Il vero ventennio della Seconda Repubblica non è stato infatti quello di Berlusconi, ma quello di Formigoni. Il quale diventa presidente della Regione Lombardia, per la prima volta, nel 1995: solo un anno dopo la prima vittoria di Berlusconi alle politiche. Ma quando Formigoni si insedia al Pirellone, il Cavaliere è già stato fatto sloggiare da palazzo Chigi. Quando poi Formigoni, presumibilmente nell’aprile dell’anno prossimo, lascerà il suo trono, Berlusconi sarà lontano dal comando già da quasi due anni. E comunque: in questo ventennio Berlusconi a volte ha vinto e a volte ha perso le elezioni; a volte è stato al …

"Il Ventennio di Formigoni l’uomo vittima del suo potere", di Michele Brambilla

Forse più della mannaia dei leghisti colpisce il silenzio di quello che una volta era il suo mondo. Nessuno, a quanto pare, considera più difendibile Roberto Formigoni: neanche gli amici, i quali per tempo, ma inutilmente, gli avevano consigliato di cambiare frequentazioni e di abbandonare supponenza e ostinazione. Finisce così, salvo colpi di scena (quando c’è di mezzo la Lega c’è sempre da aspettarsi di tutto) una delle più lunghe monarchie della democrazia italiana. Il vero ventennio della Seconda Repubblica non è stato infatti quello di Berlusconi, ma quello di Formigoni. Il quale diventa presidente della Regione Lombardia, per la prima volta, nel 1995: solo un anno dopo la prima vittoria di Berlusconi alle politiche. Ma quando Formigoni si insedia al Pirellone, il Cavaliere è già stato fatto sloggiare da palazzo Chigi. Quando poi Formigoni, presumibilmente nell’aprile dell’anno prossimo, lascerà il suo trono, Berlusconi sarà lontano dal comando già da quasi due anni. E comunque: in questo ventennio Berlusconi a volte ha vinto e a volte ha perso le elezioni; a volte è stato al …

"Milano e la follia della tragica grandeur", di Michele Serra

Tra i milanesi e i lombardi che ancora si occupano della cosa pubblica (non pochi, nonostante tutto) la fase terminale del lungo potere di Formigoni suscita, più ancora che scandalo, una specie di muto sgomento. NEL caparbio arroccarsi a Palazzo, nel rifiutarsi di prendere atto che le mura crollano, nei toni stizziti e immotivatamente offesi dell’indiscusso protagonista del dramma in corso, balena un raggio di follia di non facile lettura in una città pragmatica e spiccia, che al potere ha sempre chiesto di non essere troppo ingombrante e di essere possibilmente efficiente. Magari onestà e trasparenza non sono attitudini altrettanto richieste: non dalla totalità dei milanesi e dei lombardi, perlomeno, viste qualità e quantità degli scandali in corso, tutti fondati su una vistosa compartecipazione tra Palazzo e società. Ma perfino nel malaffare, dalle manfrine spicciole su appalti e subappalti alle grandi spartizioni finanziarie, Milano genera raramente quelle schiume da basso impero che lordano il sottopotere romano. I suoi scandali fanno poco colore e poco folklore, così da far risultare fuori ordinanza, e parecchio incongrui, le …

"Milano e la follia della tragica grandeur", di Michele Serra

Tra i milanesi e i lombardi che ancora si occupano della cosa pubblica (non pochi, nonostante tutto) la fase terminale del lungo potere di Formigoni suscita, più ancora che scandalo, una specie di muto sgomento. NEL caparbio arroccarsi a Palazzo, nel rifiutarsi di prendere atto che le mura crollano, nei toni stizziti e immotivatamente offesi dell’indiscusso protagonista del dramma in corso, balena un raggio di follia di non facile lettura in una città pragmatica e spiccia, che al potere ha sempre chiesto di non essere troppo ingombrante e di essere possibilmente efficiente. Magari onestà e trasparenza non sono attitudini altrettanto richieste: non dalla totalità dei milanesi e dei lombardi, perlomeno, viste qualità e quantità degli scandali in corso, tutti fondati su una vistosa compartecipazione tra Palazzo e società. Ma perfino nel malaffare, dalle manfrine spicciole su appalti e subappalti alle grandi spartizioni finanziarie, Milano genera raramente quelle schiume da basso impero che lordano il sottopotere romano. I suoi scandali fanno poco colore e poco folklore, così da far risultare fuori ordinanza, e parecchio incongrui, le …