Un genio del male impazza fra gli insigni tecnici di questo governo che si affaccenda ad aumentare il carico lavorativo dei docenti, un folletto insolente che sembra voler infierire, con ostinato e perverso accanimento, contro il mondo della conoscenza. E il bello è che l’aumento delle ore da 18 a 24, ormai semi-ufficiale, viene mascherato dall’invocazione di un «atto di generosità». Come se i docenti non fossero stati depredati abbastanza in questi ultimi decenni. Non si potrà infatti parlare, fino al 2014, di incrementi degli stipendi, congelati dal 2009, ma si potrà chiedere da subito, guarda caso, «una crescita dell’impegno sull’insegnamento, soprattutto fuori dalle classi».
Grazie ai soldi accantonati con le ore di supplenza, non più necessarie, si potrà così investire, ha dichiarato il ministro Profumo a «repubblica», sulla «formazione degli stessi docenti» e sull’«edilizia scolastica». Ma che bella trovata. Bisogna davvero complimentarsi con tanta sapienza, per essere riuscita nel duplice intento di capitalizzare in formazione e in edilizia sulla pelle dei lavoratori. E poi in un periodo di recessione. Ma non è tutto.
Il ministro ha aggiunto, per di più, che non è sua intenzione alimentare l’odiosa vulgata secondo la quale gli insegnanti italiani «guadagnano poco e lavorano poco». Si potranno pertanto «differenziare gli stipendi più bassi», suggerisce il titolare di viale Trastevere, «per chi vuole lavorare solo la mattina». La «retribuzione piena», invece, andrà a «chi accetta l’aumento delle ore». Quindi chi farà le 24 ore lavorerà ad incremento zero, ossia a parità di stipendio, e chi vorrà fare le 18 ore attuali lavorerà ad incremento sotto zero. I privilegi, però, le prebende, i congrui benefici di parlamentari, consiglieri regionali, ministri e via di seguito, gli sprechi, le regalie, i favoritismi più disparati e tanto altro ancora, tutto ciò rimane ben saldo nelle mani della casta… Il mondo della conoscenza italiano, stando così le cose, sta vivendo uno dei giorni più oscuri e foschi della propria democrazia.
Ma il ministro conosce la scuola? Sa forse come funziona? Lo sa che le ore di insegnamento di una materia per ogni classe non sono divisibili? Che le 6 ore in più non possono essere «spezzate» in 6 diversi insegnanti? Si tratta, oltre che di una situazione tecnicamente impraticabile, anche lesiva nei confronti di tutti quei precari che aspirano ad entrare nel mondo della scuola e che potrebbero dire addio, dal prossimo anno scolastico, ad ogni futura prospettiva. Senza contare che i lavoratori interessati sono tutelati da un Contratto Collettivo Nazionale e che, per legge, non dovrebbe essere ammissibile una simile iniziativa volta a modificare radicalmente l’orario di lavoro. E infine il ministro Profumo dovrebbe sapere che l’anno scolastico inizia il 1, non il 10 settembre. Non lo ha ancora imparato dopo l’insegnamento dei pensionandi scolastici di Quota 96?
Benedetto Vertecchi, in un articolo apparso oggi su «L’Unità», ha denunciato questa «sortita estemporanea» di voler aumentare l’orario nella scuola, sortita che costituisce una riprova ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, dell’«improvvisazione con la quale si interviene, o si dichiara di intervenire, sul funzionamento del sistema scolastico». Anche se si dovesse giudicare inadeguato l’orario attuale, non sarebbe possibile modificarlo ex abrupto, senza tener conto di quelle imprescindibili «considerazioni» che riguardano i «modelli formativi e didattici dell’attività educativa». Quel che serve, insomma, commenta il noto pedagogista, «è elaborare un’idea dell’educazione, e effettuare scelte coerenti con essa». La «logica dei rattoppi», infatti, non può produrre, per definizione e per principio, «nulla di buono». Comportandosi in tal modo si finisce per attenuare il «rapporto di fiducia sul quale si fonda l’attività delle scuole» e gli insegnanti stessi potrebbero mettersi a rincorrere intenti «che non sanno quanto siano condivisi». Manca, in definitiva, una vera e propria «politica per l’educazione».
Il Pd, l’unico partito ad essere intervenuto finora in difesa dei lavoratori della conoscenza, ha stigmatizzato questi ultimi provvedimenti con alcuni comunicati di Rosy Bindi, di Francesca Puglisi e di Manuela Ghizzoni.
Ma il problema dell’orario di lavoro, di una complessità e sostenibilità didattico/gestionale non indifferente, richiede un confronto molto ragionato con esperti e parti sociali, e non può certo essere liquidato unilateralmente da un esecutivo non tanto tecnico quanto politico, da un esecutivo che ha fatto di tutto per mortificare ed affossare il mondo dell’educazione. Serve una presa di posizione molto chiara e incisiva, anche da parte di tutti gli altri partiti, che ponga fine a queste abbozzate modifiche di legge e metta il governo alle strette minacciandolo di togliere, ma stavolta per davvero, la fiducia in parlamento.
La Tecnica della Scuola 14.10.12