La crisi che stiamo vivendo è persino più grave di quella del ’93 e del ’94. Perché più pesanti sono i costi sociali della recessione, più diffusa è la corruzione, più grandi sono la sfiducia, lo smarrimento e la rabbia dei cittadini, più fragili appaiono le stesse istituzioni. La cosiddetta seconda Repubblica è arrivata al capolinea, siamo davanti ad un passaggio storico e avvertiamo chiaramente il pericolo di restare intrappolati nelle macerie. Bisogna reagire. Ci sono le forze per reagire. Ci sono le donne e gli uomini capaci di costruire riscossa civica e reti di solidarietà. E ci sono persone che nelle istituzioni e nella società hanno tenuto la schiena dritta, con senso del dovere e del bene comune.Bersani, Vendola e Nencini hanno presentato ieri la Carta d’Intenti, che costituisce la base ideale del progetto di governo del centrosinistra. Non è solo il perimetro del campo di gioco delle primarie. È una sfida con se stessi, con i propri partiti, con i limiti della politica a tutti evidenti. Le primarie non sono un fine ma uno strumento. Non possono diventare un concorso di bellezza, slegato dai contenuti e dagli impegni scomodi, perché altrimenti si rinuncerebbe al cambiamento più importante rispetto alla stagione berlusconiana. Le primarie non debbono trasformarsi neppure in un congresso del Pd, magari allargato, perché il tema è il governo dell’Italia e il nostro contributo al necessario mutamento delle politiche europee. Ma ci sono altri errori da non ripetere. L’esperienza dell’Unione del 2006 brucia ancora, eccome. Eppure quell’esperienza partì con le primarie di Prodi, le più partecipate ed entusiaste. C’è oggi come allora una grande domanda di partecipazione e di rinnovamento tra i cittadini: guai a deluderla sottraendosi al rischio di un confronto aperto. Tuttavia, non ci sarà un vero rinnovamento senza un’idea, senza un progetto coerente di trasformazione. E senza una innovazione politica capace di lasciare un segno anche culturale nella nostra società delusa e invecchiata. La memoria corre indietro di un paio di decenni: il centrosinistra deve stare attento a non ricalcare le orme del ’94 e di quella che fu la «gioiosa macchina da guerra». La fine della prima Repubblica ha molte somiglianze con quella della seconda. Ma ora bisogna evitare che si ripeta il suicidio delle forze progressiste. Sarebbe un errore imperdonabile immaginare che al Pd e al centrosinistra di oggi basti farsi trascinare dall’inerzia per vincere. Anche perché il fallimento del partito-Pdl, seguito al fallimento del governo Berlusconi, non ha affatto cancellato il bacino elettorale del centro- destra. Non pensi il centrosinistra di essere esentato dal compiere scelte difficili, di poter vivere in una presuntuosa autosufficienza. Non pensi neppure che bastino la sobrietà e l’efficacia della Carta presentata ieri. La «gioiosa macchina» confidava nella forma della coalizione di allora. Ieri invece i partecipanti alle primarie hanno sottoscritto un documento nel quale auspicano una collaborazione più ampia con «le forze del centro liberale», forze che «sulla base della loro ispirazione costituzionale ed europeista» possono assumere «una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni».
È uno dei punti qualificanti della Carta e del progetto di governo che essa esprime. Tanto più è importante in quanto non è legato ad una determinata legge elettorale (speriamo tutti che cambi, ma non è ancora chiaro il destino). Il centrosinistra di governo deve legare la propria impresa ad un cambiamento reale del Paese. Vuole andare oltre Monti non perché considera il governo tecnico una parentesi, ma proprio perché gli ha dato il valore di una svolta. E la risalita dal baratro del berlusconismo si interromperebbe se l’Italia fosse condannata ad una soluzione tecnocratica o oligarchica.
I nomi del cambiamento sono messi in fila nella dichiarazione che dovranno firmare gli elettori delle primarie: pace, libertà, eguaglianza, laicità, giustizia, progresso, solidarietà. Ma questo cambiamento non è la rivincita di un pezzo di società contro un’altra. È anch’esso un progetto aperto, che chiede partecipazione e che deve condurre anche ad un rinnovamento di uomini. Non è una chiusura autoreferenziale, né una blindatura della sinistra. Semmai è il modo per rendere attuale, nella drammatica crisi di oggi, la vocazione nazionale della sinistra, quella che contribuì alla fattura della Costituzione e poi a far crescere la democrazia e i diritti nel nostro Paese.
Nessuna chiusura, dunque. Alleanza anzitutto con le forze progressiste e democratiche europee. Perché il cambiamento o sarà europeo, o non sarà. Alleanza con i movimenti civici e sociali: c’è bisogno di una grande ricostruzione del civismo italiano. Non più la società civile separata dalla politica, secondo la nefasta ideologia della seconda Repubblica. Bensì una riscossa civica che attraversi tutti i corpi intermedi, a partire dai partiti che devono riconoscere i loro limiti, a cominciare dal non invadere la società e le istituzioni pubbliche per scopi di riproduzione del consenso.
È importante che la Carta, che parte dall’Europa, sia stata sottoscritta da Bersani, Vendola e Nencini. Anche a sinistra porta un chiarimento importante tra chi ha avuto il coraggio della sfida e chi invece è rimasto a guardare, puntando su un altro fallimento. Chi ha firmato ha preso l’impegno di cedere parte della sovranità di partito in nome del progetto di governo comune. È un primo passo, a cui speriamo ne seguano altri. Forse, al di là delle convenienze della legge elettorale, questa convergenza meriterebbe di trovare presto l’approdo nel medesimo partito. Sarebbe un grande segno di innovazione. Che rafforzerebbe l’impresa. Abbiamo bisogno di partiti più grandi per rivitalizzare la democrazia, per renderli più trasparenti e, dunque, per dare maggiore potere ai cittadini. Abbiamo bisogno di ponti robusti per uscire da questa gabbia della seconda Repubblica.
L’Unità 14.10.12