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"I fantasmi di Marghera. Il futuro: industria o palais Lumière?", di Rinaldo Gianola

Ogni volta che si torna a Marghera ne manca un pezzo. Aziende che chiudono, imprenditori in fuga, lavoratori sbattuti in cassa integrazione e licenziati. Sarà pur vero che la nostalgia non è più quella di un tempo e che non bisogna esser troppo sentimentali nel ricordare un glorioso passato industriale, di lavoro e di democrazia perchè si rischia di apparire patetici nella stagione dei tecnocrati, dei bocconiani al governo. Però qualcuno, prima o poi, dovrà pur spiegare dove sono finiti migliaia di posti di lavoro, dove sono scappate le multinazionali che avevano giurato fedeltà eterna, chi ha buttato al vento un enorme patrimonio di competenze, ricerca, innovazione. Adesso ci vuole un po’ di modernità, bando ai rimpianti, basta lamenti. Il futuro? Il futuro di Marghera, che occupa ancora circa 14mila addetti, non sono più la chimica, la cantieristica, l’energia e quegli operai unti e sporchi così fuori moda. Il Palais Lumière ci salverà, la torre delle luci del francese Pierre Cardin cambierà il destino dello storico polo petrolchimico, vigilerà su Venezia, guarderà dall’alto pure il glorioso San Marco e metterà la parola fine sul secolo industriale avviato dal conte Giuseppe Volpi con i finanziamenti della Banca Commerciale. Il palazzo dell’archistar costerà 2,1 miliardi di euro, composto da 3 torri di 66 piani, sarà alto 250 metri. Il governatore veneto, il leghista Luca Zaia, grande esperto di prosecco, ha paragonato l’architetto novantenne Cardin a Lorenzo il Magnifico. Che si possa discutere seriamente di questa specie di luna park, di un investimento di tale dimensione destinato a oltraggiare Venezia, per dare una risposta alla desertificazione industriale e occupazionale, è un segno della decadenza culturale e politica delle nostre classi dirigenti. Sembra che, di fronte alle emergenze sociali ed economiche di un Paese impoverito e indebolito dalla crisi, imprese e amministratori abbiano avviato una gara a chi le spara più grosse. Eppure c’è davvero qualcuno che crede al Palais Lumière, con centri commerciali, appartamenti di lusso, cinema e megastore, come alternativa all’industria, alla ricerca, al porto, alle fabbriche. C’è chi pensa, anche in una parte del sindacato oltre che della politica, di trasformare Marghera in un immenso parcheggio, in un porto per gli yacht dei miliardari russi e arabi, la porta di accesso a Venezia, con alberghi e tapis roulant sul Ponte della Libertà, per avvicinare i turisti alla città più bella del mondo. Tutto questo, compresa la campagna pubblicitaria progressista dei Benetton preoccupati per la disoccupazione giovanile mondiale e pronti a selezionare generosamente un centinaio di belle idee, fa a pugni con una realtà durissima, che impone sacrifici e umiliazioni a una grande massa di lavoratori, alle loro famiglie, che riescono a sfondare il video, a raccogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, solo quando compiono qualche gesto eclatante, quando rompono il galateo delle battaglie sindacali. sindacali. «Noi siamo come i fantasmi, nessuno ci vuole vedere e ogni tanto siamo costretti a farci sentire, ad affermare che esistiamo perchè il nostro lavoro, il nostro futuro non possono morire così» afferma Nicoletta Zago, 47 anni, di Mestre, dipendente della Vinyls. È diventata un volto noto perchè conduce, con i suoi colleghi, una lotta pluriennale per la sopravvivenza. È salita con Alessandro Gabarotto e Lucio Sabadin sul campanile di San Marco, nel centro di Venezia. «Questa volta abbiamo fatto il botto, ne ha parlato tutto il mondo» raccontano, «perchè ai veneziani non puoi toccare il campanile: dopo due ore che eravamo su è arrivata la convocazione al ministero dello Sviluppo per martedì prossimo, abbiamo avuto la solidarietà del sindaco. Sono anni che lottiamo per il posto di lavoro, lavoriamo per mantenere in sicurezza gli impianti anche oggi, tre turni di otto ore, ma da cinque mesi non prendiamo un centesimo». C ’è un senso di delusione, di amarezza anche nel momento in cui ci si può godere una piccola conquista, una vittoria, com’è un incontro al ministero. Argomenta ancora Nicoletta: «Sono 25 anni che lavoro al Petrolchimico, sono una cittadina di questo Paese, pago le tasse e vorrei che di fronte al dram ma, perchè di questo si tratta, di lavoratori buttati fuori, presi in giro, ci fosse qualcuno capace di ascoltarci e di contribuire assieme a noi a una soluzione. Perchè dobbiamo andare sui tetti o sul campanile di San Marco? È tutta una follia». Nella storia della Vinyls, da tre anni gestita da due commissari straordinari che l’altro giorno hanno incontrato i lavoratori per illustrare la riforma delle pensioni del ministro Fornero…, c’è davvero qualche cosa di folle. Spiega il segretario della Camera del Lavoro, Roberto Montagner: «Larga parte del tessuto industriale del Nord Est ha come prodotto base il PVC, le aziende lo cercano e lo acquistano in tutte le parti. La Vinyls produceva un PVC di alta qualità, riconosciuto da tutti. Ma da tre anni non si fa nulla e le aziende del Nord Est vanno a comprarlo in Germania quando potrebbero prenderlo qui, a casa. Ma non è l’unico caso incomprensibile. Il problema è che se non si guarda complessivamente ai problemi di Marghera, se non si mette in campo una politica industriale organica e coerente non si va da nessuna parte. Non si può risolvere un caso alla volta, nè dobbiamo intervenire solo quando le aziende hanno già chiuso. Bisogna muoversi prima, superare la pratica dei due tempi, prima chiudo la fabbrica e poi eventualmente trovo la soluzione che non si trova quasi mai». Ma i partiti, la politica cosa fanno? «I partiti sono come i barellanti, arrivano quando bisogna portar via i morti o i feriti», sintetizza Montagner. L’emergenza occupazionale deriva non solo dalla recessione profonda di questi anni, ma anche dal fatto che ormai non si investe più. Non ci sono nuove iniziative imprenditoriali. Restano i grandi gruppi pubblici. L’Eni si è impegnata sulla raffineria, l’Enel mantiene le centrali, Fincantieri sta costruendo la più grande nave mai realizzata a Marghera. Venezia e il Veneto non sono più aree al riparo della crisi. Nella provincia di Venezia sta diventando allarmante il problema dei giovani che non fanno nulla, non studiano nè lavorano e hanno smesso di cercare un’occupazione. Anche il turismo mostra qualche cedimento. Ci sono ristrutturazioni e tagli pure nelle grandi catene alberghiere. P oi ci sono gli ultimi, i lavoratori stranieri. Abul Hasanat, 48 anni, viene dal Bangladesh. È arrivato in Italia nel 1986. Lavora in cantiere per una ditta d’appalto, quasi tutti i dipendenti provengono dal Bangladesh. O meglio lavorava. Racconta:«Vivo a Mestre con la mia famiglia. Ho due bambine nate qui. Da tanti anni sto sulle navi, lavoro con la lana di vetro, che è pericolosa, ti viene l’asma, l’enfisema polmonare. Gli italiani non vogliono più usare la lana di vetro, così noi del Bangladesh abbiamo preso il lavoro. Lo facciano noi perchè gli altri non lo fanno più. La nostra azienda Eurocoibenti aveva gli appalti di Fincantieri, poi finito il lavoro ci hanno lasciato a casa». I dipendenti delle ditte d’appalto, che arrivano a 5000 a Porto Marghera, sono le prime vittime degli appalti al massimo ribasso praticati dai grandi gruppi. Bari Mdrafiqul, 52 anni, è nella stessa condizione:«Sono arrivato a Venezia 22 anni fa, all’inizio facevo tanti mestieri nei ristoranti. Poi nel cantiere c’era questa possibilità di lavorare con la lana di vetro e con altri amici del Bangladesh abbiamo iniziato a stare sulle navi. Siamo bravi nel nostro lavoro, ci hanno sempre cercato. Io ho cinque figli, l’azienda mi ha lasciato senza stipendio. Prendo 659 euro di cassa integrazione al mese, è difficile vivere così in Italia. Ma tornare a casa non si può, al mio paese c’è tanta povertà, ci sono tante disgrazie».

L’Unità 14.10.12

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