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Il Nobel per la pace all’Europa “La sua storia batterà la crisi”, di Andrea Bonanni

Il premio Nobel per la Pace 2012 va all’Unione europea. La decisione del comitato norvegese ha sorpreso un po’ tutti. E’ la prima volta che il premio viene assegnato, se non ad una nazione in senso stretto, ad una organizzazione di tipo statuale. In passato erano stati premiati leader di governo e presidenti (l’ultimo è stato Obama), mai i Paesi che essi rappresentavano.
In realtà il Nobel all’Ue è un riconoscimento alla sua storia e un incoraggiamento a superare «le gravi difficoltà economiche e il considerevole malessere sociale che la affligge». «Il comitato Nobel norvegese desidera mettere l’accento su ciò che considera come il risultato più importante dell’Ue: la lotta vittoriosa per la pace la riconciliazione, la democrazia e i diritti umani», è scritto nella motivazione. I 5 saggi eletti dal parlamento di Oslo ripercorrono le fasi cruciali della costruzione europea: la riconciliazione franco-tedesca che dimostra come «nemici storici possano diventare partner strettamente legati »; l’allargamento a Grecia, Spagna e Portogallo, condizionato ad una pacifica transizione verso la democrazia dopo la fine delle dittature fasciste; la riunificazione con l’Europa orientale «che ha messo fine alle divisioni
tra Est ed Ovest»; infine il ruolo di pacificazione che l’Europa ha assunto nei Balcani e lo stimolo al rispetto dei diritti umani e delle regole democratiche in Turchia. Naturalmente la notizia è stata accolta con enorme soddisfazione sia dai dirigenti delle istituzioni europee sia nelle capitali dell’Unione. Ma non sono mancate proteste e dichiarazioni ironiche. Il polacco Lech Walesa e il presidente ceco Vaclav Klaus si sono detti delusi e indignati.
Gli euroscettici britannici oscillano tra un prudente silenzio e manifestazioni di oltraggiato stupore. Cameron, alle prese con le richieste di un referendum per uscire dall’Ue, non ha rilasciato commenti delegando il compito al ministero degli Esteri. La stampa anglosassone non ha risparmiato le battute ironiche: non potevano certo dare all’Ue il Nobel all’economia.
Ma anche chi sinceramente si rallegra, finora ha evitato toni troppo trionfalistici: il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, pur dicendosi felice e orgoglioso, ha ricordato «è la pace interna ad essere in pericolo, oggi, in Europa». La maggior parte dei capi di governo, comunque, nei commenti sottolineano il significato di incoraggiamento in un momento difficile che viene dal premio. Incoraggiamento che arriva peraltro da un Paese, la Norvegia, che per ben 2 volte ha bocciato con un referendum la proposta di entrare nella Ue.
Il Nobel ha comunque già avuto un risultato paradossale: nessuno, al momento, è in grado di indicare quale sarà la persona che a dicembre andrà fisicamente a ritirare il riconoscimento. La vecchia battuta di Kissinger sull’Europa che «non ha un numero di telefono» da chiamare in caso di crisi è evidentemente ancora d’attualità. «Prima di pensare a questo problema, preferisco assaporare la soddisfazione di queste ore», ha commentato il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, uno dei candidati a rappresentare l’Unione. Gli altri sono il presidente della Commissione, Barroso, il presidente del Parlamento europeo, Schulz, l’alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, e il governo cipriota che esercita in questi sei mesi la presidenza semestrale dell’Unione. La questione può apparire banale. Ma non deve esserlo poi tanto, se si è deciso di rimettere la decisione al vertice dei capi di governo a Bruxelles la settimana prossima.

La Repubblica 13.10.12

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“Premio giusto, ma non basta”, di GIAN ENRICO RUSCONI

Il Premio Nobel per la Pace assegnato all’Unione Europa può essere giudicato da punti di vista diversi, anche contrastanti. E’ innanzitutto il riconoscimento di quanto l’Europa ha fatto secondo i suoi principi ispiratori: «l’impegno coronato da successo per la pace, la riconciliazione e per la democrazia e i diritti umani. Il ruolo di stabilità giocato dall’Unione ha aiutato a trasformare la gran parte d’Europa da un continente di guerra in un continente di pace». E’ vero. La motivazione del Premio ricorda che l’Unione europea si è costruita a partire dalla riuscita riconciliazione tra Germania e Francia e dal superamento di tutte le ostilità armate che avevano diviso, in varie combinazioni, le nazioni (o nazionalità) europee nel corso del «secolo breve». Non da ultimo le nazioni dell’area balcanica di cui fanno parte le ultime aspiranti ad entrare nell’Unione (Croazia, Montenegro).
Non sono passati neppure cento anni dalla «catastrofe originaria dell’Europa» del 1914, innescata a Sarajevo ma ferocemente combattuta e decisa in terra di Francia e nel Nord-Est italiano. Poi è seguita la stagione ancora più terribile della «pace sbagliata» di Versailles, delle crisi dei sistemi liberali, della instaurazione delle dittature totalitarie, seguite da un’altra guerra che da europea è diventata compiutamente e definitivamente mondiale. Poi è stata la volta della Guerra fredda con l’ultima divisione d’Europa e di Germania, superata anche grazie ad una Comunità europea, che nel frattempo si era sufficientemente consolidata per essere un fattore decisivo nella soluzione del problema. Infine con l’ingresso di numerosi paesi dell’Europa centrale e orientale – dice la motivazione del Nobel – «si è aperta una nuova era nella storia d’Europa, le divisioni tra Est e Ovest sono in gran parte terminate, la democrazia è stata rafforzata, molti conflitti su base etnica sono stati risolti».
Per la verità, qui il testo avrebbe dovuto essere più cauto nel fare queste affermazioni sul rafforzamento della democrazia e la risoluzione dei conflitti etnici. Avrebbe dovuto assumere un tono di auspicio e di raccomandazione, anziché di constatazione di presunte realtà di fatto che – ahimè – non trovano riscontro.

Ammettere più esplicitamente, nella motivazione del Premio, i limiti attuali dell’azione dell’Unione non avrebbe tolto nulla alla positività della vicenda che ha caratterizzato la sua nascita, che l’ha accompagnata, facendola maturare gradualmente, tenacemente – non senza l’opposizione (non dimentichiamolo) da parte di forze politiche che oggi magari si associano al coro delle congratulazioni. E’ giusto premiare questa Europa. Ma non basta.
La motivazione del Premio ricorda quasi per inciso che oggi «l’Ue sta affrontando una difficile crisi economica e forti tensioni sociali. Ma il Comitato per il Nobel vuole concentrarsi su quello che considera il più importante risultato dell’Ue ecc.». Francamente, a mio avviso, limitarsi a parlare di «difficile crisi economica e forti tensioni sociali» è eufemistico, almeno per alcuni paesi. Certo: la situazione odierna non è di «guerra» neppure «civile», forse perché i popoli europei sono diventati più saggi. Ma esistono serie divergenze di valutazione delle classi politiche dirigenti dei paesi europei e ondate anti-europeiste che non basta esorcizzare come populiste o antipolitiche. Soprattutto assistiamo al riemergere di fratture culturali nazionali, con il loro seguito di stereotipi, pregiudizi e reciproci maliziosi giudizi sommari, che non ci saremmo attesi una decina d’anni fa, in una Europa amichevolmente conciliata e democratizzata – come ci si aspettava.
Viene la tentazione di parafrasare europeizzandole le parole tradizionalmente messe in bocca al grande italiano Massimo d’Azeglio: «Fatta l’Europa, dobbiamo fare gli europei». Cederemmo volentieri a questa innocua retorica se non sapessimo già per il nostro paese (e non lo constatassimo tutti i giorni, proprio in questi giorni) quanto proibitiva sia questa impresa. Che il Premio Nobel serva almeno come incoraggiamento.

La Stampa 13.10.12

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