Dodici enti di ricerca vigilati dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università verranno accorpati al Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). L’Agenzia spaziale, gli istituti di astrofisica e vulcanologia, solo per citare i più grandi, confluiranno in una maxi-struttura alla quale verrebbe affiancato da un’agenzia del trasferimento tecnologico e un’altra del finanziamento della ricerca. Questa rivoluzione sarebbe contenuta nella legge di stabilità e sta mettendo provocando reazioni durissime. Il progetto è stato definito «delirante» dalla Flc-Cgil. Ieri mattina i presidenti degli enti interessati hanno chiesto spiegazioni a Profumo in una riunione straordinaria. «Non ho capito in cosa consista questa riforma – afferma Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto di Fisica Nucleare (Infn) – il Ministro non ha presentato un documento scritto che ci permetta di fare valutazioni più precise. Mi piacerebbe leggerlo. Questo paese avrebbe bisogno di tanti progetti di riforma da discutere con calma. Quest’ansia di fare riforme in dieci minuti mi turba».
Nell’incontro il ministro ha forse delineato meglio il progetto?
No. Sostiene che la riforma renderà più competitiva la ricerca italiana sul mercato europeo. Ma è il come che non si è capito. Quello che è certo è che l’Italia è strutturalmente debole. Ma non credo che si possa risolvere questa debolezza con una riforma rapida. Bisognerebbe stabilire un percorso condiviso con gli operatori della ricerca. In questo modo si rischia di paralizzarlo a lungo termine.Il processo non sarà indolore
Lei è pronto a smantellare l’ente che presiede?
Non ritengo utile rinunciare all’Infn che avrà tutti i difetti del mondo, ma credo che si comporti piuttosto bene sul mercato internazionale e si è conquistato una certa fama. Siamo certamente disposti a mettere in comune le nostre buone pratiche, ma non mi pare che il metodo più efficiente sia quello accorpare tutto in un ente unico.
Per quale ragione, da anni, tutti i ministri cercano di riformare la ricerca?
È incontestabile che il sistema sia farraginoso, iperburocratico, di difficile gestione. La riforma Ruberti di 23 anni fa ha messo l’università in una condizione migliore, riconoscendole una qualche forma di autonomia. Gli enti di ricerca sono invece paralizzati in una gabbia e, forse, per questa scarsa elasticità non hanno fatto sistema rispetto al nuovo meccanismo dei fondi europei della ricerca.
Di chi è la responsabilità di questo stallo?
Devono essere distribuite tra il ministero che non ha colto le potenzialità di questo mercato e gli enti di ricerca che sono stati pigri. Non ci sono motivazioni per rifutare di migliorare il sistema e su questo il ministero ha ragione. L’Italia manda i soldi a bruxelles, ma poi non ne riprende altrettanti. Il problema è che non abbiamo sviluppato un modello alternativo. Magari Profumo l’ha disegnato, ma non l’ha mostrato a nessuno.
Il Manifesto 12.10.12