Quanto sta accadendo in Lombardia e nel Lazio registra una caduta impressionante del tasso di eticità del ceto amministrativo locale. La scarsa qualità della classe politica e l’infimo senso del pubblico che traspare in molta destra che governa i territori accelerano la delegittimazione della politica. Le manette ai polsi di un altro assessore della giunta guidata da Roberto Formigoni smascherano una inaccettabile compenetrazione di affari, mafia e gestione del governo.
Sotto la scure della Procura sta franando una macchina granitica che poggia sul sistema di potere personale di un governatore che si reputa inamovibile e attorno al quale ruotano spezzoni subalterni di classe politica (anche del Carroccio) che malversa con incursioni spericolate nel melmoso continuum politica-denaro. Nel profondo Nord, nelle aree più ricche del Paese, affiora l’intreccio perverso tra amministrazione e voto di scambio, tra carriera politica personale e appoggio della criminalità organizzata nel raccoglimento (ben remunerato, sembra) delle migliaia di preferenze che occorrono per la scalata al seggio. Questi fenomeni degenerativi confermano che nel ventennio post-partitico soprattutto a destra è stata adottata una selezione rovesciata della classe politica. Quante più abbondanti divenivano le risorse destinate alle autonomie locali, tanto più venivano reclutate persone senza scrupoli, prive di ogni autentica passione politica e attratte solo dalla febbre dell’oro con la quale accumulare risorse e comprare i voti. La elezione popolare del governatore, e il ricorso al voto di preferenza per i consiglieri, hanno preparato una dose micidiale di macro e micro personalizzazione del potere che si insinuava nelle amministrazioni senza incrociare degli anticorpi reali, dato lo sfaldamento della politica organizzata.
Solo i partiti non personali, quelli che mantengono cioè una parvenza di vita associativa, che vantano ancora tracce di tradizioni ideali e porzioni di reti fiduciarie attive nei territori, restano estranei al malaffare. Quando il presidente della Regione e i consiglieri hanno dietro un partito che indirizza, controlla, coordina, censura il degrado etico viene arrestato. La caduta dello spirito pubblico si cura solo con la buona politica, cioè con partiti in grado di sondare i livelli di vita, le abitudini, le carriere e i simboli degli eletti. Altre soluzioni non esistono, sono soltanto delle illusorie vie di fuga.
L’inchiesta che nel Lazio coinvolge anche il braccio destro di Antonio di Pietro mostra proprio la convergenza organica esistente tra l’invenzione di partiti personali privi di strutture democratiche interne e la corruzione, la mutazione di risorse pubbliche in dotazione privata, il trasformismo più deteriore. Non è solo un caso accidentale che proprio un partito personale-giustizialista, che persevera nel mettere il nome del capo nel simbolo, risulti particolarmente sfortunato nella selezione della classe politica della «società civile» al punto da portare in Parlamento statisti del calibro di Scilipoti, Razzi, De Gregorio, Misiti.
Il fallimento della velleità di rispondere al malaffare e al peculato dilagante con i partiti personali antipolitici ripropone uno scomodo elemento di verità. La corruzione odierna non è il frutto di un eccesso di partito ma è il risultato di una drammatica carenza di partito. Per questo occorre smascherare la mossa ingannevole di tanti novelli aspiranti capi che cercano di afferrare il degrado morale della politica per proporsi alla testa di liste civiche e di nuovi partiti personali senza vita, senza partecipazione. Le inchieste svelano quanto effimera sia una alternativa di «società civile» ai partiti, che sono invece una cerniera indispensabile, da ricostruire in fretta.
L’Unità 11.10.12