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"Ilva, la partita a scacchi continua. L’azienda: stiamo già spegnendo", di Mariantonietta Colimberti

A novembre chiuderà il primo altoforno. Sindacati in allarme anche a Genova, ma sempre divisi. Nella difficilissima partita a scacchi che Ilva e magistratura stanno giocando – ma nella quale è entrato a pieno anche il governo – è arrivato ieri il colpo di scena dell’azienda. «L’Afo 1 sarà spento entro la fine di novembre» e per lo spegnimento dell’Afo 5 (il più grande d’Europa) ne «è stato affidato lo studio alla Paul Wurth», che ha incominciato a raccogliere i disegni della struttura dell’altoforno, costruito dai giapponesi della Nippon Steel. È la risposta della società alla procura, che sabato sera ha lanciato l’ultimatum di cinque giorni per lo spegnimento degli impianti e la cessazione delle emissioni inquinanti. Una risposta illustrata in conferenza stampa dal direttore Adolfo Buffo, assente il presidente Bruno Ferrante. «Tutte le attività prescritte sono state realizzate e comunicate ai custodi giudiziari» ha affermato il rappresentante dell’Ilva.
Difficilmente questo potrà indurre a ripensamento la procura di Taranto, che ha ripetutamente denunciato la non ottemperanza dell’azienda alle ordinanze della magistratura, in un continuo botta e risposta di atti giudiziari e ricorsi che va avanti dal 26 luglio, quando la gip Todisco dispose il sequestro dell’area a caldo dello stabilimento. «Si continua a pestare acqua nel mortaio – ha detto ieri mattina il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, a Repubblica – come magistrati mi pare di aver dimostrato buon senso e pazienza. Ma il nostro compito è quello di far rispettare e applicare le leggi. L’azienda deve dare il via alle operazioni, altrimenti provvederemo in maniera diversa».
In serata è stata resa nota la nota alla procura con cui il presidente Ferrante ha accompagnato lo stato di esecuzione delle disposizioni dei custodi giudiziari. In esso si quantifica in 942 unità gli esuberi conseguenti alla fermata dell’altoforno 1 e delle batterie 5-6, «che però saranno completamente ricollocate o utilizzate in maniera differente nello stesso stabilimento di Taranto». La nota di Ferrante è datata 2 ottobre, sabato 6 l’ultimatum della procura: segno che essa non è stata ritenuta convincente.
La partita che si sta giocando potrebbe conoscere nuovi colpi di scena. Tutto si gioca intorno ai tempi delle azioni messe in campo dai vari soggetti. Ed è proprio quello che temono i pasdaran ecologisti: i verdi con Angelo Bonelli hanno avanzato il sospetto che l’azienda stia cercando solo di guadagnare giorni in attesa di un decreto salva-Ilva del governo.
Al ministero dell’ambiente, intanto, sono ormai pronti con la nuova Aia, l’autorizzazione integrata ambientale che darà il via libera, appunto, all’attività del siderurgico, imponendo una serie di misure per il risanamento, indicate secondo un programma dettagliato e progressivo che prevede anche le tecnologie necessarie. Da un minimo di sei mesi a un massimo di quattro anni: sarebbe questa la forbice entro la quale dovrebbe essere compiuta la bonifica.
L’autorizzazione, dunque, sarà in contrasto con la disposizione della procura e potrebbe nascerne un vero e proprio coinflitto governo-magistratura. Contatti sarebbero però in corso, in modo informale e indiretto, tra il ministero dell’ambiente e la procura di Taranto.
Sulla vicenda continua a pesare la divisione dei sindacati, con Fim-Cisl e Uilm schierate per la difesa del lavoro “senza se e senza ma” (assemblee sono in corso anche all’Ilva di Genova) e la Fiom-Cgil in conflitto frontale con l’azienda e pro-magistratura. Maurizio Landini ha proclamato per il 20 ottobre una manifestazione a Roma a sostegno di tutte le aziende in crisi con la partecipazione di Susanna Camusso. Un appello al governo perché si faccia carico di un «piano B» sull’Ilva è venuto da Raffaele Bonanni.

da Europa Quotidiano 09.10.12

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“ILVA, LO SPEGNIMENTO COSTERÀ MILLE ESUBERI”

Novecentoquarantadue persone in esubero immediato. Ricollocate, se si farà come dice l’azienda. Chissà, se invece prenderanno tutto in mano i custodi. Passa dal primo numero ufficiale sulla forza lavoro e dalla parola “esubero” fin qui mai utilizzata la seconda fase della vicenda Ilva. Ieri l’azienda ha pubblicamente risposto alla procura che sabato aveva inviato un ultimatum: cinque giorni per avviare le procedure di spegnimento, oppure facciamo da soli. «Noi stiamo collaborando, abbiamo dato seguito alle prescrizioni, da Taranto non ce ne vogliamo andare» ha spiegato ieri Adolfo Buffo, il nuovo direttore dello stabilimento, dopo l’arresto del suo predecessore, mandato davanti ai giornalisti con la tuta da lavoro. Ilva ha elencato tutte le iniziative prese da quando è scattato il sequestro, a conferma del fatto – dicono – che non è vero che l’azienda non sta collaborando con la magistratura.
A sostegno della bontà del ragionamento, hanno anche portato tutta la documentazione che certifica il dialogo con i custodi. In una di queste lettere il presidente dell’Ilva, il prefetto Bruno Ferrante, scrive che «con la fermata
dell’Altoforno 1 e delle batterie 5-6, l’Ilva ha previsto un esubero di 942 unità lavorative che però saranno completamente ricollocate o utilizzate in maniera differente nello stesso stabilimento di Taranto». Il piano di gestione del personale e degli esuberi previsto dall’Ilva quindi, per l’attuazione delle prime misure rientranti tra le disposizioni prioritarie, sottolinea Ferrante, «consente il fermo dell’Altoforno 1 senza che vi siano impatti negativi sui livelli occupazionali».
Ma è proprio quel piano che non convince affatto la procura che, così come disposto dal giudice e dal Riesame, spinge perché si blocchi la produzione e quindi si interrompano le emissioni inquinanti. Né tantomeno le spiegazioni date ieri ai giornalisti possono far cambiare le carte in tavola: quelle carte erano note e dunque erano state analizzate dai custodi e dai magistrati che evidentemente le avevano ritenute non sufficienti. Nelle prossime 48 ore è possibile che le parti proveranno a parlarsi. Dopodichè tra giovedì e venerdì si capirà che piega prenderà questa storia: la procura è stata chiara nel dire che se l’Ilva non metterà a disposizione personale e fondi per fare quanto imposto dal giudice, procederà in autonomia.
Una possibilità che preoccupa molto la politica. Al ministero dell’Ambiente si fa la corsa per rilasciare la nuova Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale che permette al siderurgico di lavorare. Oggi è prevista una prima riunione, entro l’11 i tecnici dovranno esprimersi in vista della conferenza di servizi fissata per il 17. Con il documento il ministro Corrado Clini è convinto che si riuscirà a evitare il muro contro muro che a molti altri invece pare ormai avviato e non più evitabile. «L’Ilva sta facendo un gioco pericoloso: quello di lasciare o nelle mani della magistratura o nelle mani della politica il cerino acceso» ha detto ieri il governatore della Puglia, Nichi Vendola. Mentre l’aria nel mondo sindacale è molto tesa. «Non sono per nulla ottimista. La priorità, adesso, è che non si fermi la produzione » ha dichiarato il segretario della Uil, Luigi Angeletti. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, parla invece di «un piano B per mantenere la produzione integra e nel frattempo proseguire la bonifica». Più rigida la posizione della Cgil: per Susanna Camusso, il caso Ilva «ci porta indietro di molti anni perché ripropone l’equazione che si faceva tra impianti chimici e danni ecologici ». Domani partono le assemblee in fabbrica organizzate da Fim e Uilm («purtroppo l’azienda si ostina a non rispondere compiutamente alle prescrizioni della procura – dice senza mezzi termini Mimmo Panarelli, segretario provinciale della Fim -Questo atteggiamento lascia zone d’ombra sulle reali intenzioni della proprietà sul futuro della fabbrica»). Non parteciperà la Fiom che ha invece elaborato una piattaforma rivendicativa che sottoporrà ad un referendum tra i lavoratori.

La Repubblica 09.10.12