Il piano straordinario su Pompei entra nel vivo. È arrivato il momento dell’apertura delle buste dei candidati che intendono partecipare al restauro di cinque domus, per un totale di sei milioni di euro. Le cinque commissioni (una per bando; si è preferito non fare una gara unica così che eventuali ricorsi non “contagiassero” l’intero appalto) stanno già aprendo i plichi con i requisiti dei concorrenti. A metà mese si passerà alla valutazione delle offerte e all’assegnazione dei lavori.
Il cronoprogramma
Sempre in ottobre si procederà con l’altro bando, quello della messa in sicurezza dei terreni a confine con l’area di scavo (importo 2,8 milioni) e a dicembre sarà la volta delle gare che interesseranno tre delle nove regiones in cui è divisa la città (per un valore di 10 milioni di euro). Sempre entro l’anno vedrà la luce – assicurano al ministero dei Beni culturali – il bando per “il piano della conoscenza”, uno dei cinque interventi in cui si articola il progetto di 105 milioni finanziato con risorse comunitarie e interne.
Pompei, insomma, si prepara a rimettersi in sesto, dopo la sequela di crolli che ne hanno offuscato l’immagine (e quella del Paese) a livello internazionale. Operazione che ha qualche chance di successo, se non altro perché dobbiamo risponderne all’Unione europea, che alla fine del 2015 ci chiederà conto di come sono stati spesi i soldi. Gli ostacoli da superare sono tanti: una situazione di pesante degrado (interna ed esterna al sito, compresa la presenza di amianto nell’area degli scavi, fatto di cui si sta occupando la magistratura); la pressione della criminalità organizzata (le misure di contrasto sono state rafforzate, perché la torta di 105 milioni fa ancora più gola alla camorra); la mancanza di personale di controllo (a cui si farà fronte con il potenziamento del sistema di videosorveglianza); una vastissima area, e per di più assai delicata, da conservare e valorizzare.
Il fallimento dei commissari
Insomma, un compito impegnativo in cui tutti finora hanno fallito. Anche i commissari straordinari, che dal ’97 (allora li si chiamava direttori amministrativi o city manager) si sono succeduti, seppure non in maniera continuativa, nella gestione di Pompei. Anzi. L’ultimo commissario (super, per via degli ampi poteri che gli erano stati affidati), è andato oltre. La gestione di Marcello Fiori – transitato a febbraio 2009 dall’ufficio emergenze della protezione civile all’area archeologica, dove è rimasto fino all’estate dell’anno dopo – è incappata in una serie di irregolarità ora al vaglio della magistratura e della Corte dei conti.
Sotto la lente concessioni e contratti. Per esempio, quelli relativi al teatro grande di Pompei. Per l’organizzazione della stagione 2010, il commissario ha impiegato 7,5 milioni di euro per lavori complementari, l’acquisto di camerini-depositi e di allestimenti scenici e teatrali. Risorse che – oltre a essere state assegnate con procedure dubbie sulle quali si sta indagando – non hanno prodotto alcun ritorno economico significativo per la soprintendenza. Infatti, la convenzione con il teatro San Carlo di Napoli – all’epoca retto da un altro commissario, Salvo Nastasi, che era allo stesso tempo capo di gabinetto del ministero dei Beni culturali – prevedeva unicamente il versamento del 10% delle royalties sui biglietti di ingresso. Il risultato è che ora la programmazione del teatro di Pompei è inesistente, perché la procura di Torre Annunziata ha disposto, nell’ambito delle indagini sui lavori di restauro della struttura e sulle attività in cartellone nel 2010, il sequestro di tutto il materiale di scena e degli impianti acquistati dal commissario.
Non basta. La soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, retta da fine 2010 da Teresa Elena Cinquantaquattro, ha avviato, con l’ausilio dell’Avvocatura statale, le procedure per annullare la convenzione, per un valore di 5,8 milioni di euro, stipulata da Fiori con il raggruppamento temporaneo di imprese formato dalla fondazione Idis-Città della scienza e dalla casa editrice L’Erma di Bretschneider per la gestione dell’Antiquarium. Sono state riscontrate illegittimità nelle modalità di affidamento dell’appalto. Sotto il mirino della soprintendenza anche un’altra convenzione, quella sottoscritta dal commissario sempre con la fondazione Idis-Città della scienza per la gestione di un laboratorio per bambini presso la Casina Pacifico. Importo della concessione: 744mila euro. Anche in questo caso sono state riscontrate illegittimità e, per di più, l’attività appaltata si sovrapponeva ad altre programmate dalla soprintendenza prima della gestione commissariale.
L’esigenza di trasparenza
I 105 milioni devono servire, dunque, anche a far dimenticare tutto questo. Ecco perché il ministero ora procede con i piedi di piombo. E questo, in parte, spiega i ritardi nell’affidamento dei lavori relativi alle cinque domus e nei bandi per le regiones, attesi già a luglio. Per la prima gara, infatti, si è scelta la procedura aperta con prequalifica. «I tempi – spiega Cinquantaquattro – sono quelli imposti dal codice degli appalti. Per gli altri bandi si andrà, però, più veloci, anche perché si potrà utilizzare la piattaforma informatica messa a punto proprio per lo svolgimento delle gare previste dal piano su Pompei».
L’esigenza è quella di procedere senza lasciare ombre. Anche se il segretario generale, Antonella Recchia, ha riconosciuto, nel corso di una recente audizione presso la commissione Istruzione del Senato, come «l’aspetto della trasparenza e della partecipazione non sia stato finora adeguatamente implementato», perché assorbiti dall’urgenza di procedere con il progetto. Infatti, mentre si aspetta che il grosso del piano su Pompei parta, gli altri lavori non si sono fermati. A gennaio sono stati assunti – grazie al decreto legge 34/2011 che ha avviato il programma straordinario di rilancio di Pompei – 13 archeologi e 8 architetti (oltre a un funzionario amministrativo), che hanno finora censito oltre 250mila metri quadrati di scavi, individuando i fenomeni di degrado più gravi. Operazione propedeutica alla progettazione e ai lavori veri e propri, per i quali ci sono 85 milioni che aspettano.
Il Sole 24 Ore 08.10.12