Prima di Eltsin in Russia — in Unione Sovietica — non c’erano mai stati omicidi politici di giornalisti. Perché non c’era libertà di parola. Paradossalmente, gli omicidi di giornalisti sono cominciati nell’era eltsiniana, che — comunque si consideri questo semi-riformatore — ha dato alla Russia la libertà di parola. Una libertà enorme, che il Paese non aveva mai conosciuto. La censura in Russia è stata abolita. Ed è difficile dire quando fosse nata. In ogni caso, il primo testo antico-russo che comprende un indice dei libri proibiti fu scritto nel 1079. Quasi mille anni fa. La censura nel nostro Paese è quasi più antica dello Stato stesso. E tutt’a un tratto, dopo dieci secoli di controlli e divieti, dopo la censura religiosa e laica, imperiale e burocratica, dopo la crudele censura sovietica, ecco che nel 1991 la libertà di stampa è piovuta quasi dal cielo. Bisogna riconoscere che nell’ambito della creazione letteraria la fine della censura non ha avuto conseguenze particolarmente evidenti. E si capisce: la libertà interiore dello scrittore non dipende dall’autorizzazione dei potenti. In compenso nel giornalismo, nel campo dell’informazione di massa ci fu una rivoluzione. I giornali e le riviste divennero talmente interessanti che in quei primi anni Novanta la gente quasi smise di leggere libri.
La parola lasciata in libertà divenne un’arma a doppio taglio: le indagini giornalistiche rivelavano casi di corruzione, minacciavano i leader politici, scoprivano piccoli e grandi «bubboni» del nuovo potere che si andava affermando. Quanto più alto era il livello professionale raggiunto dai giovani giornalisti, tanto più rischiosa diventava la loro posizione. L’epoca degli assassinii politici di giornalisti ebbe inizio già nel 1993, e oggi la Russia è al terzo posto nel mondo per numero di giornalisti uccisi, dopo l’Iraq e l’Algeria.
La carriera giornalistica di Anna Politkovskaja cominciò proprio negli anni in cui si definiva la nuova contrapposizione fra i giornalisti e un potere che non aveva imparato a dialogare civilmente con i suoi oppositori. Anna Politkovskaja reagiva con passione e perfino con furia quando si scontrava con la corruzione, la menzogna e i crimini dei potenti. Fu la prima giornalista a dare un ritratto politico di Putin: un ritratto non certo lusinghiero. La pubblicazione in Gran Bretagna e successivamente in altri Paesi del suo libro La Russia di Putin segnò una nuova fase dei suoi rapporti con il potere.
Anna difendeva con coerenza le sue posizioni, e le sue qualità umane erano il senso di giustizia e la disponibilità ad andare fino al limite, fino alla porta chiusa, fino al muro di cemento. Non era una persona malleabile, ed era impossibile mettersi d’accordo con lei: non accettava alcun compromesso. Il suo era una sorta di massimalismo giovanile, unito a un alto senso della propria dignità. Proprio su questo terreno si era sviluppata la sua attività in difesa dei diritti civili. Ogni volta che si scontrava con l’ingiustizia e la crudeltà, si sentiva offesa personalmente e si gettava nella lotta. Sempre impari.
Anna Politkovskaja è stata assassinata il 7 ottobre 2006, sei anni fa. È passato quasi un anno, prima che fossero arrestati dei ragazzi ceceni sospettati dell’omicidio, i fratelli Makhmudov e alcuni complici. Nell’autunno del 2008 è cominciato il processo. Nel febbraio 2009 i giurati hanno assolto gli imputati per insufficienza di prove, ma quattro mesi dopo la Corte suprema ha annullato la sentenza, riaprendo il caso. Nella primavera del 2011 è stato arrestato il presunto assassino, Rustam Makhmudov. Nell’agosto del 2011 è stato arrestato l’ex tenente colonnello della polizia Dmitrij Pavljuchenkov, che era già stato testimone al processo. In ottobre sono state notificate accuse ai presunti organizzatori dell’omicidio di Anna Politkovskaja, il boss criminale ceceno Lom-Ali Gajtukaev e l’ex agente dell’UBOP (Direzione lotta alla criminalità organizzata) di Mosca, Sergej Khadzhikurbanov. Come sempre nel caso di indagini così lunghe, nasce il sospetto che l’inchiesta sia «frenata» dall’alto. Nondimeno, qualcosa si sta chiarendo: si conosce il nome dell’assassino, si conosce la catena degli organizzatori. Pavljuchenkov si è riconosciuto colpevole di aver organizzato l’omicidio, ora promette di collaborare alle indagini. Ci sarà un nuovo processo. Ma non c’è più la giornalista Anna Politkovskaja, che avrebbe saputo denunciare con sdegno chi conduce questo processo annoso, lento e sospetto, e avrebbe fatto il nome del principale mandante di questo omicidio. Ma Anna non c’è, e senza di lei è impossibile sbrogliare la matassa…
Per ora non è stato individuato un mandante. Ma ci sono tante versioni.
1. Le tracce dei mandanti vanno cercate in Occidente. I mandanti si nascondono all’interno dei servizi segreti americani, e l’omicidio è stato compiuto per gettare ombra sulla figura di Putin.
2. Una pista porta all’oligarca in disgrazia Boris Berezovskij, che vuole seminare la discordia fra Putin e il popolo.
3. È possibile che a Berezovskij si sia unito Ahmet Zakaev, nel tentativo di guastare i rapporti fra Putin e il leader ceceno Ramzan Kadyrov.
4. Il responsabile è lo stesso Ramzan Kadyrov, più volte denunciato negli scritti di Anna Politkovskaja.
5. Secondo un’altra versione, mandanti dell’omicidio furono i dirigenti dell’operazione per la liberazione degli ostaggi al teatro Dubrovka, accusati da Anna Politkovskaja per l’uso del gas nervino che portò alla morte di oltre centoventi persone.
Può bastare?
Non mancano neppure le supposizioni piccanti e i dettagli sensazionali:
1. Agli esecutori furono pagati 2 milioni di dollari. Vero è che nessuno li ha visti.
2. Sulla pistola con cui fu uccisa Anna sono state scoperte tracce del Dna di una donna. Da ulteriori indagini è però emerso che si trattava delle tracce di uno starnuto.
3. Si suppone che l’omicidio di Anna Politkovskaja fosse stato fissato per il 7 ottobre — come regalo di compleanno per Vladimir Putin.
Voci insistenti affermano che il caso sia oggi a una svolta. Temo si tratti di un’illusione. Queste indagini interminabili dimostrano in modo eloquente che la libertà di parola è morta e sepolta, che stiamo tornando a quei tempi tristi in cui la parola libera poteva esistere solo nella clandestinità, nel sottosuolo. E il sottosuolo oggi ha cambiato indirizzo: si chiama Internet.
Sono passati sei anni dal giorno della morte di Anna Politkovskaja: a lei vengono intitolate vie e piazze in molti Paesi — ma non nel suo. Anna ha speso la sua vita per difendere la libertà di parola e la giustizia. Sulla tomba della parola libera si potrà innalzare un monumento con i nomi di quanti per essa hanno pagato con la vita. In Russia dall’inizio degli anni Novanta sono stati uccisi più di trecento giornalisti. Un caro prezzo. Cari giornalisti. In questo elenco Anna Politkovskaja è una delle figure più coraggiose e di maggior talento.
(Traduzione di Emanuela Guercetti)
Il COrriere della Sera 08.10.12
Pubblicato il 8 Ottobre 2012