Il degrado etico e la caduta di credibilità della politica hanno raggiunto livelli che neppure negli anni di tangentopoli erano stati toccati. Gli show televisivi di Fiorito-Batman, le spaventose ruberie di Tributi Italia, le inchieste che dilagano sulle spese arbitrarie di certi consiglieri regionali, unite alle resistenze contro la legge anti-corruzione, offrono uno spettacolo desolante. Parlare di questione morale, citando la famosa intervista di Enrico Berlinguer, pare persino un diversivo.
Eppure allora come oggi l’imbarbarimento del costume civico, la corruzione, il potere che compra il consenso per perpetuare se stesso, lo smarrimento del bene comune, non sono soltanto un problema di moralità delle persone. Sono, come intendeva Berlinguer, una questione politica decisiva, di primaria grandezza. Se l’obiettivo di una forza progressista è il cambiamento, come può radicarsi quest’idea, questo progetto, come può diventare un impegno popolare, in assenza di un clima di fiducia, di un comune civismo, di un costume pubblico rigoroso?
Il degrado morale è oggi un impedimento al cambiamento. Oltre al danno che produce in sé, è una zavorra che spinge il Paese lungo il declino. E nel declino aumentano le ingiu- stizie, le disuguaglianze, i rancori, persino l’individualismo. Questa grave crisi di etica pubblica marcia insieme alla più grave crisi economica dal dopoguerra. E la crisi economica non è neutrale: allarga la forbice sociale, impedisce la salita dei ceti più deboli, arricchisce pochi e impoverisce molti, estende il potere dei principali detentori delle ricchezze nazionali. Come non è neutrale la crisi morale: corrode e taglia le reti di solidarietà politica, spinge verso la rabbia e la solitudine, accredita la sfiducia più radicale, quella di chi dice: sono tutti uguali, rubano tutti alla stessa maniera, non c’è differenza tra destra e sinistra, non c’è alcuna speranza che la democrazia possa aiutarci a migliorare le cose.
Invece non siamo tutti uguali. Tra destra e sinistra c’è differenza, anche se la lunga egemonia della destra liberista ha offuscato negli anni la domanda di uguaglianza e di diritti, il ruolo dei corpi intermedi, il primato della persona. Tra l’adesione alle politiche rigoriste delle grandi tecnocrazie e l’idea di uno sviluppo sostenibile, della coesione sociale come bene pubblico, c’è differenza eccome. Passa di qui la nostra battaglia per il cambiamento politico. Ma senza quel «riscatto morale» di cui parlava l’altra sera ad Assisi il presidente della Repubblica, rischiamo di perderci. Rischiamo di perdere quel senso di comunità che è la premessa della giustizia, prima ancora che della buona politica.
Ecco come sono indissolubilmente legate la questione morale e la questione politica del cambiamento. Ecco perché qualcuno, rileggendo ora Berlinguer, tenta di separare le due cose. Perché la denuncia del degrado morale, senza la visione di un riscatto possibile, può diventare motivo di ulteriore delusione e disimpegno. Dobbiamo ribellarci a chi vuole ridurre la persona ad individuo, per di più individuo solo davanti al mercato e al potere. L’immoralità dei comportamenti, la corruzione, l’illegalità, la dissolvenza di quella linea di confine che separa l’interesse privato da quello pubblico sono anzitutto attentati a chi vuole cambiare.
Questo comporta grandi responsabilità. Collettive ovviamente. Ma anche personali. Siccome non è vero che siamo tutti uguali, deve essere sempre più vero che la reazione a fatti corruttivi e a pratiche illegali deve essere più severa nelle forze del cambiamento. Non si tratta di cedere al giustizialismo all’antipolitica, che anzi con coerenza e onestà vanno sempre contrastate a testa alta. Si tratta di applicare regole di austerità nella rappresentanza, di trasparenza nel circuito della decisione democratica, di altruismo laddove il potere diventa conservazione e auto- referenzialità.
Il rinnovamento vero comincia dal progetto di società. Dal governo che si vuole dare al Paese. Ma il rinnovamento è anch’esso una necessità vitale. È una domanda profonda dei cittadini, che, se fosse delusa, renderebbe impossibile ricostruire un rete partecipativa. In fondo, non sono connesse solo la questione morale e quella del cambiamento politico. Sono connesse la questione sociale con quella democratica. Il groviglio pare a volte inestricabile. Ma la pazienza, l’umiltà degli innovatori è alla prova di una lotta decisiva. Occorre battersi, e al tempo stesso ricostruire. Occorre essere esigenti soprattutto con se stessi. Occorre spezzare l’illusione individualista come quella del leader solo al comando. Al bivio storico del nostro tempo, comunque, non si può esitare. Guai a sottovalutare questa crisi di fiducia, perché può distruggere la speranza. E paradossalmente fare il gioco di chi urla ma non vuole cambiare, rimettendo ad una oligarchia il governo del Paese.
L’Unità 07.10.12
Pubblicato il 7 Ottobre 2012