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"L'ultima eredità del berlusconismo", di Giovanni Valentini

L’interrogativo rilevante per il futuro del sistema politico italiano, tuttavia, è cosa rimarrà nell’immaginario e nella visione politica degli italiani della narrazione berlusconiana e della sua promessa di un’Italia diversa.
(da “Il racconto del capo” di Sofia Ventura – Laterza, 2012 – pag. 128)
Era prevedibile ed era stato anche previsto che il berlusconismo potesse sopravvivere a Silvio Berlusconi. E anzi, che senza di lui potesse diventare perfino peggio, a giudicare dall’assortita compagnia dei suoi epigoni e dei suoi imitatori. Dalla Lombardia al Lazio fino alla Sicilia, gli scandali regionali che stanno scuotendo il Paese con la violenza di un movimento tellurico non sono altro che i lasciti del berlusconismo allo stadio terminale; l’ultima eredità di quella “ideologia pubblicitaria” che, a partire dalla metà degli anni Ottanta, la tv commerciale ha instillato per oltre un quarto di secolo nella mentalità nazionale a colpi di spot, minispot, telepromozioni e televendite. Le vacanze dorate del governatore lombardo Roberto Formigoni, già leader di Comunione e Liberazione; i festini e gli scandali dell’ex capogruppo del Pdl alla Regione Lazio, Franco Fiorito; gli sprechi e gli sperperi della giunta siciliana, hanno una matrice in comune: quella commistione tra pubblico e privato che ha trovato la massima rappresentazione nel conflitto di interessi in capo a Berlusconi. Una teoria generale dell’appropriazione indebita che purtroppo ha fatto scuola nell’Italia di questi anni, per diventare un modello sociale (o asociale) di comportamento collettivo. Un basso magistero di malcostume e malaffare, di opportunismo, trasformismo, corruttela, dissoluzione e depravazione che ha progressivamente trasformato un «popolo di formiche» in un’orda di cicale e cavallette.
Di questa rivoluzione antropologica, il Cavaliere è stato finora la guida spirituale e l’incarnazione mediatica. Nella sua figura e nel suo mito popolare una gran parte dei cittadini italiani s’è riconosciuta e identificata, secondo un processo simbiotico analogo a quello che lega il capo di una setta ai suoi adepti. E il peggio è che una tale narrazione ha finito per coinvolgere e contagiare perfino una parte degli oppositori, in mancanza di sufficienti anticorpi culturali e morali.
Gli scandali delle Regioni dimostrano una volta di più che il decentramento amministrativo non può essere sottratto al coordinamento e al controllo dello Stato, come pretenderebbe la propaganda separatista di un malinteso federalismo. Altrimenti, si rischia di tornare all’Italia medievale dei feudatari, dei signori e signorotti, dei vassalli e valvassori. A partire proprio dalla concezione originaria di Carlo Cattaneo, invece, il federalismo è stato inteso come uno strumento per aggregare e unire, non per dividere: e così è dagli Stati Uniti d’America ai länder tedeschi.
Alla prova dei fatti, bisogna riconoscere che non ha prodotto risultati particolarmente apprezzabili la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione, approvata dal centrosinistra con pochi voti di maggioranza sotto il governo di Giuliano Amato nel 2001. L’ampliamento del potere legislativo delle Regioni a statuto ordinario s’è rivelato in realtà un boomerang, alimentando ulteriormente il disordine istituzionale nei rapporti con lo Stato centrale. Né la cosiddetta autonomia finanziaria, invocata a gran voce dalla Lega in nome del federalismo fiscale e non ancora operativa, sembra in grado di risolvere con un colpo di bacchetta magica le istanze di rigore e trasparenza che interpellano direttamente la classe politica.
Dal centro alla periferia, da Roma a Milano e a Palermo, la questione fondamentale resta quella di un ceto o di una casta che oggi appare nel suo complesso inaffidabile, invasiva, predatoria. La politica come professione, impiego o mestiere, piuttosto che come servizio ai cittadini. E dunque, una cattiva politica che genera e produce l’antipolitica. Il “racconto del capo”, di cui tratta il libro citato all’inizio, minaccia di diventare così l’autobiografia di un’intera nazione.
La Repubblica 06.10.12