Mentre nelle piazze di tutta Italia tra polizia e studenti medi scoppiavano gli scontri, nelle aule dell’università La Sapienza gli universitari della Rete Universitaria Nazionale tenevano la loro assemblea nazionale per lanciare il percorso della mobilitazione studentesca che li porterà in piazza venerdì prossimo. Ragazzi di tutta Italia sono arrivati nella capitale per lanciare le loro parole d’ordine: sapere, innovazione, lavoro. «La conoscenza in testa» è il loro slogan, ad indicare chiaramente quale debba essere il primo punto del prossimo programma di governo. Sullo sfondo vecchi e nuovi problemi dell’università. Il primo, sicuramente, il numero enorme di «idonei non assegnatari», burocratica formula che sta ad indicare quanti, pur avendo diritto ad una borsa di studio, non riescono ad ottenerla a causa della mancanza di fondi. Purtroppo questi studenti sono sempre più numerosi, a causa dei continui tagli di bilancio, ed è solo grazie all’aumento delle tasse universitarie a carico degli studenti che si riesce a garantire una copertura minima, seppur ancora insufficiente. La risposta del governo non è delle migliori. Infatti il ministro Profumo ha rimesso in vita, attraverso una bozza di decreto non ancora presentata ufficialmente, la Fondazione per il merito, invenzione del ministro Gelmini avversata da tutti gli studenti. Infatti questa Fondazione va in direzione contraria rispetto al sistema di diritto allo studio che vige oggi in Italia: «Non si può pensare che si destinano risorse finanziarie preziose a chiunque, ricchi o poveri che siano ci dice Federico Nastasi, portavoce della Run se le risorse sono scarse debbono essere impiegate prioritariamente al sostegno delle fasce più povere della popolazione, che vengono escluse sempre di più dall’università italiana». Sulla stessa linea è Marco Mancini, il capo dei rettori italiani, che gli studenti hanno voluto invitare superando la tradizionale conflittualità che li lega ai vertici delle università: «La Fondazione per il merito andrebbe chiusa, e quel sostegno andrebbe dato alle borse di studio per i più poveri». Ma a tenere banco è la notizia del giorno e cioè la minaccia che incombe sul programma Erasmus, a causa del rifiuto dei falchi europei di finanziare uno dei programmi di maggior successo della Ue. I giovani della Run hanno promosso insieme ai loro colleghi europei della «Juventudes socialistas de España», della «Federación de Asociaciones de Estudiantes Progresista» e del «Mouvement des Jeunes Socialistes», le associazione studentesche dei partiti socialisti dell’Ue, un appello a difesa del programma per la mobilità internazionale degli studenti. La richiesta come al solito, è sempre la stessa: non si tagli sul sapere, l’unica vera chiave per uscire da una crisi che sembra non finire mai. Dove trovare i soldi? Per i giovani socialisti europei la risposta è semplice: basterebbe tassare le transazioni finanziarie speculative per trovare adeguate risorse per un programma per la mobilità internazionale. Per questo chiedono alle istituzioni europee, riprendendo anche l’appello che il nostro giornale ha lanciato da qualche giorno, di tassare la finanza speculativa non solo per coprire i buchi di bilancio ma per rafforzare il programma Erasmus e i programmi per il diritto allo studio. Secondo loro il peso ed i costi della crisi non possono ricadere su quella che invece dovrebbe essere una delle chiavi di volta per uscirne: l’investimento in ricerca e innovazione. Una protesta che accomuna i giovanissimi studenti e i giovani imprenditori. È Jacopo Morelli, presidente dei Giovani Industriali, a difendere questo progetto: «Se il progetto Erasmus non dovesse essere rifinanziato sarebbe davvero una grande perdita per i giovani, per i quali il progetto di mobilità studentesca ha rappresentato per anni un’occasione preziosa di confronto con altre realtà». E aggiunge anche la dimensione economica che questo investimento nella formazione dei nostri giovani ha rappresentato: «Sarebbe anche una perdita per le imprese: l’esperienza di studio all’estero è sempre un valore aggiunto che apprezziamo nel momento di selezione dei nostri collaboratori». Difficile trovare qualcuno che difenda la scelta di questa spending review veramente ingiusta. Segno che lo stereotipo dello studente all’estero fannullone ed inconcludente forse appartiene solamente alla cinematografia e che anche le imprese capiscono che se in Italia qualcuno conosce una lingua straniera, lo si deve soprattutto grazie a quei mesi passati all’estero.
L’Unità 06.10.12
Pubblicato il 6 Ottobre 2012