Obiettivo: convincere il governo Monti a correggere la stortura. E l’ultimo treno per questa legislatura è la legge di Stabilità di prossima presentazione. Ma per ora il governo non sembra volerne sapere: costa troppo. Servirebbero, solo per i prossimi tre anni, un miliardo e 295 milioni di euro, di cui 435 milioni di euro nel 2013. E il problema persisterebbe almeno fino al 2022.
E sì, perché – secondo la relazione presentata l’altro ieri dal ministero del Lavoro in Parlamento – ci sono 600.000 Laura, Gianna e Nicola con una doppia posizione previdenziale sparsi per la Penisola. Fino a poco più di due anni fa erano convinti di poter passare una terza età tranquilla, con i nipotini o magari in giro per il mondo a fare quei viaggi che finora non si erano potuti permettere. Seicentomila lavoratori che hanno lavorato per una vita, hanno sempre versato i relativi contributi, ma fino al luglio del 2010 (ovvero da quando è entrata in vigore la legge 122) non si erano accorti di avere un handicap enorme: durante il loro percorso professionale hanno cambiato casacca. Sono passati da un datore pubblico a uno privato, o viceversa. Spesso non è stata nemmeno una scelta. A volte il cambiamento è stato solo fittizio. Nel senso che è cambiata giusto la ragione sociale dell’azienda: municipalizzata prima, privata poi. Nella quotidianità dei dipendenti questa variazione aveva influito poco. O almeno così sembrava: stessa mansione, stesso stipendio, stesso ufficio per una vita. Poi la scoperta: la pensione no, quella è diversa. Molto più bassa – anche del 40% – rispetto all’assegno che sarebbe spettato loro se non ci fosse stato alcun cambiamento, a meno di sborsare cifre da capogiro per «ricongiungere» i contributi.
Ora Laura, Gianna e Nicola – e tutti gli altri che si trovano nella stessa situazione – si sentono defraudati. «Perché devo pagare due volte?», protesta Gianna. «Ho regolarmente versato 42 anni di contributi, di cui 30 Inps e 12 Ipost» racconta Nicola. «Mi sento in una trappola», dice amareggiato Rocco Aldo: anche a lui, per ricongiungere i suoi 18 anni e sei mesi di contributi Inpdap agli oltre 13 versati all’Inps (di cui, tra l’altro, ora è dipendente), hanno presentato un conto di centinaia di migliaia di euro. C’è la totalizzazione (ovvero la semplice somma di più spezzoni di vita lavorativa) ma è penalizzante, perché comporta il calcolo della pensione finale totalmente con il sistema contributivo.
La vicenda rischia di diventare un altro caso come quello degli esodati. Secondo le stime del ministero del Lavoro (elaborate insieme con l’Inps) contenute nella relazione depositata in Parlamento l’altro ieri, sono coinvolti trentamila lavoratori all’anno fino al 2022. Una nuova grana per il ministro Elsa Fornero, anche se stavolta la norma non è farina del suo sacco, ma le è toccata in eredità dal precedente governo. I sindacati sono tempestati di telefonate di lavoratori disperati. E paradossalmente tutte le forze politiche sono d’accordo nel considerare la vicenda un’ingiustizia. Dal 19 settembre scorso, nonostante il parere contrario della Ragioneria generale dello Stato, la Commissione Lavoro alla Camera ha iniziato l’iter di un ddl (che unifica varie proposte) per eliminare l’onerosità del ricongiungimento dei contributi verso l’Inps. Ma non sarà una battaglia facile, perché costosa e perché, almeno per questa legislatura, di fatto la legge di Stabilità è l’ultima possibilità per modificare la norma. La Commissione Lavoro però è determinata nell’andare avanti: l’equità non ha prezzo.
Il messaggero 05.10.12
Pubblicato il 5 Ottobre 2012