Non dovranno rispondere di quei bambini e quei vecchi chiusi nelle stalle e uccisi con le bombe a mano, né di quelli radunati davanti alla chiesa e falciati a colpi di mitra. Gli uomini che la magistratura italiana ha giudicato responsabili della strage di Sant’Anna di Stazzema non dovranno sedere davanti a un giudice per raccontare com’è andata, per rievocare l’orrore, nemmeno per argomentare come hanno soltanto obbedito agli ordini. E non perché siano troppo anziani, incapaci ormai di ricordare e intendere che cosa è successo nelle tre ore che hanno segnato l’inferno nella campagna toscana. Ma perché, dice la procura di Stoccarda che ne ha firmato il proscioglimento, «non ci sono prove sufficienti » per dimostrare la partecipazione degli accusati all’eccidio.
Ci sono voluti dieci anni di indagini per arrivare alla decisione di ieri della procura tedesca: l’inchiesta deve essere archiviata. Non solo non si può dimostrare che ciascuno degli otto imputati ancora vivi (su 17 all’origine) abbia partecipato personalmente all’eccidio di quel 12 agosto 1944, e come si sia comportato individualmente. Ma nemmeno è possibile avere la certezza che la strage dei civili sia stata un’azione preordinata e pianificata.
Non conta più niente che il tribunale militare italiano abbia già condannato all’ergastolo in contumacia Werner Bruss, Alfred Concina, Ludwig Goring, Karl Gropler, Georg Rauch, Horst Richter, Heinrich Schendel e Gerhard Sommer. Non conta la richiesta d’arresto, né la domanda di estradizione. Non conta nemmeno il ricordo della scia di sangue lasciata nell’Italia centrale dagli assassini della sedicesima divisione Panzergrenadier delle Shutzstaffeln, agli ordini del generale Max Simon. I procuratori militari avevano inoltrato al ministero della Giustizia italiano una richiesta di esecuzione della pena in Germania, ma anche di quella domanda si sono perse le tracce.
Non si è perso, invece, il ricordo delle atrocità commesse il mattino del 12 agosto: secondo la sentenza italiana «verosimilmente » tra le 457 e le 560 persone furono massacrate senza ragione. I ragazzi e bambini furono 116, il più piccolo aveva solo 20 giorni. Non si è perduta neanche la certezza che proprio la fiducia nell’umanità dei soldati tedeschi ha portato al macello donne, vecchi e bambini: gli uomini si erano dati alla macchia, temendo di incappare nella rete delle Ss e di finire deportati in qualche campo di concentramento.
Ma i più deboli erano rimasti nel villaggio, sicuri che a loro non potesse capitare niente, perché l’onore impedisce ai militari di prendersela con civili indifesi. E invece l’onore delle Ss, come recitava il loro motto, era solo nella fedeltà: in questo caso, fedeltà agli ordini, per quanto feroci e slegati da ogni logica bellica.
Forse era un modo bestiale per spezzare ogni collegamento fra la gente dei paesini e i gruppi partigiani della zona. Ma nella sentenza del tribunale militare della Spezia, la definizione è senza appello: la strage è stata solo «un atto terroristico, una azione premeditata e curata in ogni minimo dettaglio».
La scelta della corte di Stoccarda ha suscitato rabbia e dolore in Italia fra i sopravvissuti e i familiari delle vittime. «Stupore » sottolinea anche il procuratore militare Marco De Paolis, che istruì il processo ai dieci militari poi condannati all’ergastolo: non solo l’impianto accusatorio era solido, ma «ci sono stati alcuni imputati rei confessi ».
La Repubblica 02.10.12
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