Essere precari non significa soltanto non avere certezze sul futuro ma anche guadagnare molto meno nel presente. È l’Isfol a denunciarlo sottolineando che per i dipendenti a termine il salario nel 2011 è stato pari a 945 euro, appena un euro in più rispetto all’anno p’recedente e inferiore a mille euro. Rispetto al salario di un lavoratore fisso si tratta del 28% in meno: la media in quel caso è di 1313 euro al mese. La situazione non migliora molto con l’età: chi ha tra i 15 e i 24 anni guadagna 834 euro,. Ma chi ne ha tra i 35 e i 44 non porta molto di più a casa: 996 euro. Mentre quando si ha un lavoro fisso la differenza è molto più evidente: i più giovani guadagnano 926 euro ma con il passare degli anni si arriva quasi a 1500. Oltretutto «il divario risulta in crescita rispetto all’anno precedente (27,2%), come sottolinea il direttore generale dell’Isfol, Aviana Bulgarelli.
I precari sono i più penalizzati, ammette l’Istituto. E questo avviene per diverse ragioni, come spiega Aviana Bulgarelli: «In primo luogo il lavoro a termine evita, con la scadenza dei contratti, l’applicazione delle fasce di anzianità previste dai contratti collettivi; inoltre i dipendenti a termine usufruiscono in misura minore della componente retributiva legata a straordinari e ad altri emolumenti; tra i contratti a termine infine il lavoro a tempo parziale incide in misura decisamente maggiore (25,5% a fronte del 14,9% del lavoro a tempo indeterminato), contribuendo a ridurre il salario medio». Ovviamente, precisa l’Isfol i contratti a tempo prevalgono soprattutto tra le nuove generazioni, anche se in valori assoluti i dipendenti precari sono comunque molto diffusi anche tra i più adulti, con oltre un milione di occupati a termine tra gli chi ha almeno 35 anni. Ma essere precari e per di più giovani vuol dire essere più esposti ad ingiustizie. Come osserva il direttore generale dell’Isfol: «Oltre il 50% dei lavoratori temporanei ha meno di 35 anni a fronte del 24% tra gli occupati permanenti. Il rischio di subire un lavoro a termine mostra un livello elevato nella prima classe di età (poco meno del 50% degli occupati dipendenti tra 15 e 24 anni ha un contratto a termine), per poi diminuire sensibilmente fin dalla classe di età successiva». Quindi il lavoro precario si conferma come lo strumento d’ingresso dei giovani nell’occupazione, «mostrando tuttavia precisa il direttore generale dell’Isfol – incidenze relativamente elevate anche nelle classi di età centrali».
La Stampa 01.10.12
Pubblicato il 1 Ottobre 2012