Fa certamente sensazione, soprattutto se rapportata alla grandinata di scandali in arrivo da molte Regioni italiane, la nettezza con la quale la quasi totalità dei partiti ha rivendicato – dopo l’annunciata disponibilità di Mario Monti ad un nuovo mandato – il diritto della politica a tornare alla guida del Paese.
Si tratta, infatti, di una rivendicazione che – pur essendo del tutto legittima – fa tuttora a pugni con la condizione in cui versa il sistema politico italiano, con la confusione che regna in materia di leadership e alleanze, e la persistente vaghezza (quando non peggio) sul piano dei programmi e delle cose da fare.
Ciò nonostante, non è affatto da escludere che – dopo il voto della prossima primavera – sia appunto un governo sostenuto da una maggioranza politica a prendere in mano il destino del Paese.
Del resto, stando ai più recenti sondaggi, è quel che chiede una parte non più minoritaria dell’elettorato.
Che invoca, però – e questo è il punto – un rinnovamento profondo di uomini e modi d’agire, la riduzione dei costi e dell’invadenza della politica e il proseguimento nell’opera di risanamento economico del Paese, pena il ritrovarsi di nuovo sull’orlo del baratro sfiorato giusto un anno fa.
Fino a oggi i partiti (tra di loro ed al loro stesso interno) hanno litigato soprattutto sulla cosiddetta Agenda Monti, diventata simbolicamente quasi lo spartiacque tra chi vuole continuare su una linea di rigore e chi, al contrario, immagina sia possibile un ritorno al tempo delle vacche grasse: abolendo – per esempio a partire dall’Imu – alcune delle misure e delle riforme varate dal governo, soprattutto in materia di riduzione del debito.
La discussione – difficile e delicata allo stesso tempo – naturalmente continuerà: ma le previsioni di un lento miglioramento della situazione economica, accompagnate dal contemporaneo esplodere di scandali odiosi e grotteschi, impongono – se non un cambio di obiettivi – certamente l’urgenza di definire con chiarezza i rimedi da mettere in campo contro l’ormai insopportabile andazzo di ruberie, cialtronerie e malaffare. Per esser chiari: all’emergenza economica se ne è aggiunta un’altra che – di fronte al dilagare dello sperpero di danaro pubblico da parte delle forze politiche – si può ormai tranquillamente definire «emergenza democratica».
Il che fare per arginarla sarà uno dei terreni sui quali verranno giudicati i partiti che vogliono riprendere le redini del governo del Paese. E sarebbe dunque ora che, dopo le inadempienze e i ritardi di questi mesi, le forze politiche facessero conoscere con precisione e nel dettaglio le misure che intendono assumere per arrestare l’onda melmosa della corruzione e del malaffare politico. Quel che occorre è che i partiti o le coalizioni che si candidano alla guida del Paese redigano un vero e proprio «manifesto» della trasparenza e della lotta agli sprechi e alla delinquenza politica: con il dettaglio delle spese da tagliare, degli apparati da ridurre, degli enti da abolire o da snellire, nella loro composizione e nei loro costi.
Di fronte a feste in maschera costose e di pessimo gusto, a vacanze pagate da consulenti amici, a spese ingiustificate e a continue ruberie di danaro pubblico, la richiesta della politica di fare un passo avanti non solo non è credibile, ma rischia di diventare non condivisibile in assenza di un nettissimo segnale di cambio rotta: l’«emergenza democratica» determinata dalla decomposizione del sistema dei partiti, insomma, va arrestata prima che sia troppo tardi.
L’antipolitica ha oggi il linguaggio inaccettabile di Beppe Grillo: ma nulla può rassicurare circa il fatto che il peggio sia questo e che il fondo sia stato toccato. E’ per questo motivo – per una forma che potremmo perfino definire di legittima difesa – che occorre una reazione chiara e immediata da parte delle forze politiche. Si mettano nero su bianco, in un «manifesto della buona politica», le cose che si intendono fare: quando, come e con chi. E si chieda su questo il giudizio e il voto degli italiani. In caso contrario, la richiesta di tornare alla guida dell’Italia rischia di essere poco credibile. Di più: rischia di esser considerata inaccettabile e perfino pericolosa. Con buona pace di ogni rivendicazione della regola democratica che vuole che il Paese sia governato da chi vince le elezioni…
La Stampa 30.09.12