Pochi professori e nomine in ritardo. I genitori protestano contro i tagli
MILANO — Le storie sono nei racconti di giornata dei presidi. L’ultima arriva da Milano, scuola elementare Fabio Filzi. «Oggi vengono i tecnici mandati dal Comune per mettere l’impianto di climatizzazione in una classe — racconta il capo d’istituto —. Abbiamo un bambino con una malattia rara, deve stare a una temperatura massima di 24 gradi». La premessa implicita è che la scuola deve saper accogliere tutti. È il modello italiano dell’inclusione degli studenti disabili, introdotta con una legge del ’77. Né classi né istituti speciali, invece scuole aperte pronte all’accoglienza. Per garantirlo servono maestri e professori dedicati, oltre all’aiuto degli educatori. E oggi nelle nostre scuole statali ne abbiamo arruolati quasi centomila.
C’è un insegnante di sostegno ogni due studenti disabili. Ma è una media. Esiste un problema di numeri e di risorse e le associazioni chiedono anche insegnanti più specializzati, preparati sulle diverse patologie.
Questo è il mese degli appelli perché arrivano le segnalazioni dalle famiglie, rischiano di dover tenere a casa i figli, alcune ore o giornate o settimane, perché «a scuola non c’è l’insegnante di sostegno» o «manca l’educatore» o entrambi, perché le nomine sono in ritardo, o insufficienti, e perché gli enti locali non riescono a pagare l’assistenza.
I presidi gestiscono le risorse che arrivano, fanno salti mortali, ma il risultato non è sempre quello sperato. Il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria ci tiene a sottolineare che «il nostro modello è all’avanguardia, copiato anche dalla città di New York e siamo nei Paesi top five per la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia di New York: siamo a quasi centomila insegnanti di sostegno per duecentomila alunni disabili e il sistema comunque tiene, anche con le certificazioni (di handicap) che nell’ultimo decennio aumentano del 4% all’anno. Certo poi c’è la momentanea difficoltà dei conti publici, anche per gli enti locali». E ci sono le classi sempre più numerose, con lo stesso numero di insegnanti.
Alcune regioni sono in affanno e da tempo. «In Lombardia c’è un sottodimensionamento storico. L’anno scorso mancavano all’appello 3.600 insegnanti di sostegno — dice Giovanni Merlo, presidente della Ledha, associazione lombarda per i diritti dei disabili —. E a questo si somma il taglio sugli educatori. C’è una diatriba sulle competenze che dura da tempo, molti comuni non intendono più fornire il servizio che, per le scuole superiori, toccherebbe alle province. Succede nell’hinterland di Milano, nel Bresciano e nella Bergamasca dove decine di famiglie sono pronte al ricorso. E succede da anni. I ricorsi poi li genitori li vincono, ma intanto i loro ragazzi sono rimasti a casa, o hanno dovuto pagarsela di tasca propria l’assistenza».
Il ministero dell’Istruzione ha comunicato i posti di sostegno per quest’anno. «Si prevede un aumento di oltre quattromila alunni disabili e di almeno duemila posti di sostegno. Da aggiungere ai numeri dello scorso anno: per 197 mila studenti, 97 mila insegnanti». «L’inclusione è un investimento di civiltà da quattro miliardi di euro l’anno», spiega Rossi Doria. Per avere un’idea delle tante buone pratiche leggere le storie premiate sul sito lechiavidiscuola.it, ci sono le esperienze di scuola dell’infanzia, elementari, medie, superiori. Da Cuneo a Savona, da Brescia a Modena.
Ma resta aperto il dibattito sulla figura dell’insegnante di sostegno. «Molti non hanno le competenze necessarie, almeno uno su due. Tanti hanno frequentato solo brevi corsi, e hanno scelto il sostegno come scorciatoia per ottenere una cattedra», sostiene Piero Barbieri, presidente di Fish, che riunisce le associazioni per il superamento dell’handicap.
«Dovrebbe esserci una classe di concorso sul sostegno e per accedervi un corso universitario di due anni». Ma i pareri sono discordi. «Il rischio è formare docenti medicalizzati, specialisti sulle singole patologie», dice Giuseppe Argiolas per il coordinamento insegnanti di sostegno. L’obiettivo finale e comune è una formazione adeguata anche degli insegnanti curriculari, «perché la presa in carico dei disabili è collettiva». «Quelli di sostegno dovrebbero essere soltanto un supporto temporaneo al consiglio di classe e dovrebbero occuparsi dei casi più gravi. Invece diventano l’unico figura di riferimento ma è un errore». Quest’anno è stato introdotto un primo corso breve per 350 mila insegnanti curriculari. «E un inizio — secondo Barbieri — un primo passo nella direzione giusta».
da www.corriere.it
Pubblicato il 29 Settembre 2012