Quando è sera il ministro della Giustizia Paola Severino s’infila nell’ascensore del Senato che porta dritto al piano nobile dove si affacciano gli uffici della presidenza: il colloquio con Renato Schifani è dedicato prevalentemente ai tempi parlamentari del ddl anticorruzione che potrebbe arrivare in aula il 15 ottobre, con piccole modifiche, e dopo pochi giorni tornare alla Camera per l’approvazione definitiva. Il Guardasigilli, infatti, è già informato sul centinaio di emendamenti presentati (54 del Pdl, una ventina del Pd che verrebbero ritirati se c’è l’ok al testo della Camera, nessuno dell’Udc) ma il via libera del governo alle modifiche — «ammesse solo quelle migliorative e non quelle soppressive», ripete il ministro — ci sarà dopo che i partiti della maggioranza firmeranno un patto d’onore: l’impegno chiesto dalla Severino è quello di varare definitivamente la legge in tempi più che rapidi, magari a novembre, perché sulla lotta alla corruzione il presidente Monti, spalleggiato dal capo dello Stato, non intende retrocedere di un passo.
Gli emendamenti presentati riservano un paio di sorprese e molte conferme. Per iniziativa della senatrice Gallone e del collega Compagna (tutti e due del Pdl) rispunta la norma «salva Ruby» che permetterebbe a Berlusconi di cavarsela in ogni caso al processo di Milano: perché il Cavaliere, accusato di concussione per induzione, quella telefonata in questura la fece non per ottenere un’«utilità patrimoniale» ma per far rilasciare la minorenne marocchina. Alla Camera tutto questo si chiamava emendamento Sisto e non ebbe fortuna.
Il Pdl, però, spariglia perché, con le firme di Gasparri e Quagliariello, propone una norma anti-Batman (Francesco Fiorito del Pdl) e anti-Lusi (l’ex senatore della Margherita): «Reclusione da 2 a 6 anni per il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio che si appropria o usa indebitamente per finalità diverse contributi pubblici…».
«Buona idea, se si tratta di estendere la fattispecie di malversazione relativa al cattivo uso del denaro pubblico anche alle Regioni, sarebbe una norma accettabile», chiosa il ministro Severino. Il Pd ha risposto con 2 emendamenti di Della Monica: ineleggibilità dei condannati per corruzione, operativa prima delle elezioni del 2013; mantenere a 12 anni la pena massima per la concussione per induzione (reato di cui è accusato, tra gli altri, Penati del Pd) che la Camera aveva portato a 8 anni.
Tutto ruota intorno al Pdl che vorrebbe cancellare i nuovi reati di traffico di influenze e correggere la corruzione tra privati (reintroducendo la procedibilità a querela). Il ministro è stato chiaro tanto da indurre il Pdl a proporre, oltre agli emendamenti soppressivi anche quelli di mediazione. Ecco, ha reagito il Guardasigilli, «non so se servirà la fiducia, io lavoro giorno per giorno e alla fine anche il governo potrà presentare i suoi emendamenti». Il 15 ottobre si vedrà, ma lo scenario è quello già visto alla Camera: maxiemendamento e fiducia.
Anche perché molti senatori devono dividere il poco tempo a disposizione tra anticorruzione e legge elettorale che ieri ha registrato l’ennesimo nulla di fatto se non fosse per un guizzo di Roberto Calderoli (Lega) che sta pensando ad un «Porcellum» riveduto e corretto: né collegi (chiesti da Pd) né preferenze (invocate dal Pdl) ma listini bloccati di due o tre candidati nelle micro circoscrizioni (232 per la Camera e 116 per il Senato). È un modello simil-spagnolo: premio di coalizione del 10%, ma solo se si ottiene il 45% altrimenti il primo partito si deve accontentare del 5%. Insomma, un «fritto misto» che però avrebbe il pregio di interrompere il braccio di ferro in atto.
Il Corriere della Sera 28.09.12
Pubblicato il 28 Settembre 2012