A destra ora c’è chi reclama il diritto (sic!) di votare alle primarie con l’avvertenza che però, se Renzi non dovesse spuntarla nei gazebo, alle urne del 2013 tornerà all’ovile e quindi non sosterrà mai Bersani. Parrebbe uno stralunato episodio della commedia all’italiana e invece è una tragedia che rivela la corruzione ideale di oggi. Davvero può configurarsi il diritto di ciascuno di entrare nel campo avverso per alterarne gli equilibri e portare scompiglio? Tanti nemici del Pd pensano di approfittare delle primarie per tentare il colpo grosso. Ai padroni dei media stuzzica l’idea di sospendere i rifornimenti che finora hanno concesso al comico genovese per dirottarli verso il «Grillo interno» (la definizione è di Pietro Ichino) che può far saltare il gioco con un repertorio anch’esso ispirato all’antipolitica.
Spaventano molto i partiti con una cultura autonoma perché sono liberi dai pesanti condizionamenti di media e denaro. Un foglio che sostiene i referendum sull’articolo 18, e sogna una coalizione dei non allineati con Grillo e Landini dentro, ha scelto il cavallo su cui puntare per travolgere il quartier generale del Pd. Poco importa che il ronzino abbia dato ragione a Marchionne senza se e senza ma.
Anche il Sole 24 Ore sollecita un’azione risoluta per svelare tutto «l’anacronismo del Pd». Il piano che conduce all’annientamento del Pd è così auspicato da Stefano Folli: «Renzi può essere il sasso che rotolando provoca la valanga». Ogni soggetto politico, dinanzi a manovre di sabotaggio, deve aggrapparsi all’istinto di sopravvivenza, perché questa è la sfida.
Con l’adozione di regole incisive (albo degli elettori di sinistra), il Pd può scongiurare i palesi tentativi di farlo deflagrare. Presentare le più normali regole, di stampo americano peraltro, come un restringimento del sacro diritto (della destra) di stabilire il condottiero che i poteri forti preferiscono alla guida della sinistra è un sopruso intollerabile.
Le regole sono una necessità ineludibile per garantire a ciascuna parte politica l’opportunità di decidere con il metodo democratico la leadership, il programma, le alleanze. Le procedure, che definiscono il confine di un’area politica, sono una difesa dell’intangibile diritto di una parte di società di tracciare la propria strada, i propri codici, i propri valori.
Non esiste un diritto di tutti i cittadini senza distinzioni ideali che li autorizzi ad espropriare il vitale bisogno di una parte della società di organizzare le peculiari identità e di mobilitarsi per vincere le elezioni sventolando le proprie bandiere. In nome del presunto diritto degli elettori di destra di recarsi alle primarie viene calpestato il diritto reale della parte di popolo che si orienta a sinistra e rivendica la libertà di scegliere da solo chi meglio ne rappresenta le idee, gli interessi, la storia.
L’essenza della democrazia liberale risiede nella competizione tra poli alternativi. Ogni campo ha cioè il diritto a organizzare i confini identitari senza incursioni corsare. Pretendere che con le primarie aperte ogni demarcazione crolli, predispone una deriva illiberale che soffoca il diritto della parte a rendersi visibile e induce la totalità ad invadere ogni spazio della differenza.
La regola che prevede albi pubblici di elettori per le primarie tutela la situazione più debole. E nei partiti, a soffrire di più sono gli iscritti, i militanti, i simpatizzanti che verrebbero soggiogati dai nemici di destra che afferrano il (fasullo) diritto di decidere per loro conto e quindi di stabilire a chi tocca sfidare Berlusconi marciando sotto i simboli della sinistra.
L’Unità 27.09.12
Pubblicato il 27 Settembre 2012