Giorno: 27 Settembre 2012

"Atene, la protesta torna in piazza ma negli occhi dei lavoratori c’è un anno in più di sacrifici", di Adriano Sofri

La notizia che ha fatto il giro del mondo è che ad Atene ci sono stati violenti scontri fra dimostranti e agenti antisommossa e devastazioni. Le fotografie che hanno fatto il giro del mondo mostrano per lo più le fiammate delle bottiglie molotov lanciate contro la polizia. Nessuna fotografia è “bella” come quella in cui le fiamme, e sembrano ingoiare le persone. Siccome le fiamme che divampano dallo stoppaccio di una bottiglia si assomigliano come, per così dire, gocce d’acqua, scoprirete facilmente su Google che le fotografie dello sciopero generale greco dell’ottobre dell’anno scorso sono pressoché identiche alle fotografie di ieri. Anche le facce delle persone (e gli striscioni e le parole d’ordine) si assomigliano abbastanza, ma non altrettanto, e le loro fotografie, se sono meno “belle” del fuoco, sanno dire che cosa è passato loro addosso in un anno. Un salario ridotto allora di un terzo che ora è più che dimezzato, un posto di lavoro perduto, un’umiliazione e una volontà di riscatto che hanno avuto il tempo di maturare. Le facce però sono …

"Atene, la protesta torna in piazza ma negli occhi dei lavoratori c’è un anno in più di sacrifici", di Adriano Sofri

La notizia che ha fatto il giro del mondo è che ad Atene ci sono stati violenti scontri fra dimostranti e agenti antisommossa e devastazioni. Le fotografie che hanno fatto il giro del mondo mostrano per lo più le fiammate delle bottiglie molotov lanciate contro la polizia. Nessuna fotografia è “bella” come quella in cui le fiamme, e sembrano ingoiare le persone. Siccome le fiamme che divampano dallo stoppaccio di una bottiglia si assomigliano come, per così dire, gocce d’acqua, scoprirete facilmente su Google che le fotografie dello sciopero generale greco dell’ottobre dell’anno scorso sono pressoché identiche alle fotografie di ieri. Anche le facce delle persone (e gli striscioni e le parole d’ordine) si assomigliano abbastanza, ma non altrettanto, e le loro fotografie, se sono meno “belle” del fuoco, sanno dire che cosa è passato loro addosso in un anno. Un salario ridotto allora di un terzo che ora è più che dimezzato, un posto di lavoro perduto, un’umiliazione e una volontà di riscatto che hanno avuto il tempo di maturare. Le facce però sono …

"Accanimento giudiziario", di Giovanni Valentini

Accanimento giudiziario. Non si può definire altrimenti la sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna di Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, a 14 mesi di reclusione per un reato di diffamazione. Un accanimento tanto più scoperto e intimidatorio, dopo che lo stesso Procuratore generale aveva chiesto invano le attenuanti generiche per una riduzione della pena. Poco importa, a questo punto, se fra un mese Sallusti finirà davvero in cella o piuttosto se verrà assegnato ai servizi sociali. Magari per l’assistenza degli anziani o dei disabili. Resta il fatto, senz’altro preoccupante per un Paese democratico e civile, che un direttore viene condannato al carcere per quello che si configura sostanzialmente come un reato d’opinione. Commesso, per di più, non da lui direttamente ma da un suo redattore. E quindi, in forza di quella mostruosità giuridica che — in contrasto con tutti i sacri principi del Diritto penale — prevede la cosiddetta responsabilità oggettiva. Una diffamazione, insomma, per interposta persona. Ai fini di una valutazione non accademica del caso, non importa neanche tanto stabilire se …

"Accanimento giudiziario", di Giovanni Valentini

Accanimento giudiziario. Non si può definire altrimenti la sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna di Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, a 14 mesi di reclusione per un reato di diffamazione. Un accanimento tanto più scoperto e intimidatorio, dopo che lo stesso Procuratore generale aveva chiesto invano le attenuanti generiche per una riduzione della pena. Poco importa, a questo punto, se fra un mese Sallusti finirà davvero in cella o piuttosto se verrà assegnato ai servizi sociali. Magari per l’assistenza degli anziani o dei disabili. Resta il fatto, senz’altro preoccupante per un Paese democratico e civile, che un direttore viene condannato al carcere per quello che si configura sostanzialmente come un reato d’opinione. Commesso, per di più, non da lui direttamente ma da un suo redattore. E quindi, in forza di quella mostruosità giuridica che — in contrasto con tutti i sacri principi del Diritto penale — prevede la cosiddetta responsabilità oggettiva. Una diffamazione, insomma, per interposta persona. Ai fini di una valutazione non accademica del caso, non importa neanche tanto stabilire se …