Il federalismo e quella riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra «per inseguire il secessionismo della Lega» contenevano errori seri. Bisogna ripensare il regionalismo, mettendo fine al moltiplicarsi di centri di spesa incontrollati dei quali gli abusi scoperchiati dal caso Lazio solo sono la punta di un iceberg. Pier Luigi Bersani, all’indomani delle dimissioni di Renata Polverini, rilancia sul piano delle riforme. E sulla responsabilità dei democrat del Lazio non si nasconde dietro a un dito. «Abbiamo sbagliato a non rovesciare il tavolo», chiarisce, ma avverte: «Noi di Fiorito non ne abbiamo, non permetterò il tentativo delle destre di metterci nel mucchio con il loro fango». «E’ finita una brutta storia e deve cominciare un cambiamento», premette Bersani.
Lo dicono tutti, segretario.
«Per l’amor di dio, vediamo chi fa i fatti».
Tornando al caso Lazio?
«Ha rivelato aspetti assolutamente indecorosi, sconvolgenti, che hanno colpito la gente per bene e chi fa politica con onestà e coscienza: si sono sentiti insultati, infangati da una vicenda drammatica e tristissima. Anche noi del Pd vogliamo trarne un insegnamento. Ma non accettiamo di essere messi nel mucchio, noi di Fiorito non ne abbiamo».
Avete avuto Lusi, però.
«Quella è una vicenda che non ci ha lasciato certo indifferenti, pur avendo riguardato la vita di un partito precedente al Pd. Il caso Lazio riguarda invece le istituzioni e la ferita è ancora più profonda».
C’è l’aspetto penale di Fiorito, ma anche quello politico. E i consiglieri del Pd hanno avallato quanto quelli del centrodestra l’assurda moltiplicazione dei soldi ai gruppi. Come risponde?
«Abbiamo riconosciuto con il gruppo dirigente del Lazio l’errore di non aver ribaltato il tavolo davanti a un incremento sconsiderato dei fondi per i gruppi. Riconosco però al gruppo dirigente del Lazio di aver avuto una reazione coerente nel mettere on line i nostri conti e nell’aver testimoniato la differenza tra chi spende soldi per dei manifesti sulla sanità e chi se li mette su un conto privato e ci mangia le ostriche. Soprattutto nella fase finale, i nostri consiglieri hanno avuto un ruolo incisivo sia nelle proposte di taglio delle spese sia mettendo sul tavolo le loro dimissioni, che è poi quello che ha messo in moto il meccanismo che ha portato alla fine della giunta Polverini».
Però c’è stato anche un abnorme aumento – da uno a 14 milioni di euro – di soldi a pioggia ai gruppi in Regione, proprio mentre la stessa Regione Lazio triplicava l’addizionale Irpef, tagliava 2.800 posti letto negli ospedali, introduceva il ticket per i disabili…, senza che i consiglieri del Pd facessero alcunché per opporsi, anzi votando regolarmente a favore.
«Lo ribadisco, abbiamo fatto un errore a non ribaltare il tavolo».
E questo errore qualcuno lo pagherà politicamente? Alfano vi sfida a non ricandidare nessuno dei consiglieri uscenti. Cosa risponde?
«Certamente il rinnovamento noi lo faremo, ma questa di Alfano è una provocazione che respingo al mittente. Perché questi hanno sguazzato nel fango e ora lo stanno mettendo nel ventilatore. Possiamo aver fatto degli errori ma noi, lo ripeto, di Fiorito non ne abbiamo, va bene? L’errore è stato aver ritenuto ammissibile, non dico nobile, il fatto che delle risorse di quell’entità e in quella logica fossero impegnate nell’attività politica. Ma nessuna ammucchiata, questo non lo consento. Detto ciò, è chiaro che si pone un problema di ordine generale. Queste cose non è che non devono succedere. Non devono poter succedere».
E come si fa a impedirlo?
«Ho apprezzato le intenzioni che ha dichiarato il presidente della Conferenza delle Regioni Errani su una drastica assunzione di responsabilità e un drastico cambiamento su tre questioni fondamentali. Primo, i costi. Siamo di fronte a una situazione – ho qui le tabelle – dove il Lazio spende 18 euro per abitante per il funzionamento del Consiglio regionale, Emilia e Toscana ne spendono 8. Può succedere che il Lazio abbia 19 commissioni, l’Emilia Romagna 7. Non c’è autonomia che giustifichi questo. Basta. Bisogna darsi una regola che dia costi Il Titolo V della Costituzione va assolutamente rivisto Affrontare subito con il governo costi, trasparenza e controlli basici per tutte queste strutture. Secondo punto, la trasparenza. Tutte queste spese, non solo i rendiconti ma anche le loro specificazioni, devono essere messi on line per legge. Terzo, deve esserci un controllo esterno: della Corte dei Conti, di un altro soggetto, ma ci deve essere. Io appoggio caldamente queste iniziative di Errani e le sosterrò con i nostri presidenti e aggiungo che questi tre punti – costi, trasparenza, controlli – vanno affrontati subito, anche discutendo con il governo».
In questo scorcio di legislatura?
«Subito, senza perdere altro tempo. Aggiungo, e questo tocca noi forze politiche: la prossima legislatura deve essere costituente, quindi dobbiamo avere un meccanismo che renda esigibile la riforma costituzionale con una legge da approvare subito all’inizio della prossima legi- slatura. Bisogna riflettere sul regionalismo. Perché negli ultimi dieci anni, e lo dice uno che ha fatto il presidente di Regione ed è sempre stato autonomista convinto, c’è stata una deriva per rispondere al rischio secessione della Lega. Abbiamo imbastito un’organizzazione dello Stato e un livello di autonomia delle Regioni che non ha contrappesi né razionalità».
Sta facendo autocritica per quel Titolo V della Costituzione votato dal centrosinistra in una notte?
«Assolutamente bisogna rivederlo. Le Regioni hanno avuto un ruolo straordinario ma devono riassumere una coerenza in un’organizzazione statale. Dobbiamo mettere un freno alla degenerazione di questo impianto. Per esempio, cosa che già all’epoca non mi piaceva, nell’ambito della Repubblica sono stati messi sullo stesso piano Stato, Regioni e autonomie senza nemmeno collegare questa operazione con un bilanciamento attraverso una Camera delle Regioni».
Sta dicendo, insomma, che è stata sbagliata tutta una politica di decentramento degli ultimi dieci anni?
«Non tutta sbagliata, ha avuto aspetti positivi che non vanno dimenticati. Ma non si può, per fare un esempio, pensare che la sanità a base regionale porti a costi abissalmente diversi tra una Regione e l’altra senza consentire nella dimensione centrale a un equilibrio di costi standard. Diamo un solco di coerenza e di razionalità. Io dico riflettiamoci».
Potrebbe aprirsi ora un nuovo caso Lazio in Lombardia con altre dimissioni in massa dei consiglieri del Pd?
«I numeri evidentemente contano. In Lombardia i pesi e le misure sono un po’ diversi. Se avessi la stessa certezza che dicendo ai miei dimettetevi la Regione verrebbe giù, non perderei un nanosecondo. Il problema è che questi delle destre se ne infischiano, paralizzando di fatto la più grande Regione italiana».
Per il Lazio si parla di un election day con le politiche. Lei condivide il rinvio del voto a primavera?
«No. Prima si vota meglio è. Non c’è nessun calcolo, badi bene. Basta girare per strada, sentire cosa dicono i cittadini del Lazio. Rivolgo un appello alle altre forze politiche: non trasciniamo questa situazione per favore, affrontiamola. Per parte nostra un rinnovamento ci sarà, senza avere dei Batman in giro».
A proposito di rinnovamento, intanto vanno avanti anche le primarie del centrosinistra. Questo quotidiano aumento delle candidature, ormai si è perso il conto degli annunci di discese in campo, non rischia di confondere o, per dirla con Enrico Letta, di dividere più che di includere?
«Abbiamo visto ben altro. Quando ci furono le primarie di Prodi ricordo che si presentò per candidarsi una signora incappucciata. A quelle successive Grillo si iscrisse a una sezione. Quelle dopo ancora finimmo in tribunale con Pannella. Dopodiché andarono tutte bene. Alla fine, creda a me, tutti questi candidati non ci saranno. Certo, il meccanismo si presta a rischi, critiche, slabbrature. Ma io sono assolutamente convinto del dato di fondo: aver mostrato in una situazione così drammatica del rapporto tra politica e società, nella crisi sociale più rilevante dal dopoguerra a oggi, di credere nella partecipazione e di metterci in gioco come partito e come segretario, riuscendo a parlare finalmente agli italiani dell’Italia, si risolverà in una cosa positiva per l’intero sistema».
Nella vostra carta degli intenti di fine luglio uno schema di programma di governo c’era già, nero su bianco. Una base, lei disse allora, da cui partire per costruire l’alleanza tra progressisti e moderati. Quella road map resta sempre valida? Vendola non perde occasione per rinnegarla.
«Resta assolutamente valida. Al di là di certe sottolineature o battute, la sostanza di quel patto va preservata e sarà preservata. Fuori dagli equivoci, naturalmente: io sto organizzando il campo dei progressisti. Dicendo che poi i progressisti devono rivolgersi in modo aperto a posizioni moderate, centrali, liberali, europeiste che tirino una riga sul populismo berlusconiano. Il nostro è un appello, una disponibilità, poi si vedrà. C’è poi l’aspetto della governabilità e della responsabilità che per me sono punti irrinunciabili: cessione di sovranità, cioè se non c’è un’intesa decidono i gruppi parlamentari a maggioranza; e gli impegni internazionali si mantengono fino alla scadenza».
C’è qualcosa – che sia la rottamazione o altro che da qui al giorno delle primarie lei proprio non vorrebbe più sentire?
«Vorrei non sentir più parlare di regole. Sono primarie di centrosinistra: se chiedo che chi va a votare si dichiari di centrosinistra, non ce l’ho con Renzi, ce l’ho con Batman e tutti i suoi. Perché io cedo sovranità ai cittadini però chiedo assunzione di responsabilità. Secondo: questa storia della rottamazione, sì. Si rottamano le macchine, non le persone, tanto meno le storie. Il rinnovamento ci vuole, ma il rinnovamento non è sradicamento dal tuo campo di valori. No, no e tre volte no».
Il Messaggero 26.09.12
Pubblicato il 26 Settembre 2012