A Cavenago di Brianza, che più Brianza non si può, è scoppiata la guerra del panino. Da una parte ci sono due sorelline di origini siriane di 7 e 9 anni che hanno rischiato di saltare il pasto alla scuola elementare Ada Negri perché i loro genitori non avevano pagato il buono mensa. E come loro rischia di fare la stessa fine un altro centinaio di bambini non in regola con la retta della refezione che costa 4 euro e 20 centesimi a testa al giorno. Dall’altra parte c’è la società che gestisce la mensa, la multinazionale francese Sodexo – che nel 2011 ha fatturato nel mondo 16 miliardi e 47 milioni di euro – che piange per un avanzo da 23 mila euro di rette non pagate, solo in questa scuola prefabbricata a un piano con un giardino spelacchiato attorno, che ospita 600 bambini tra elementari e medie e una palestra.
La Sodexo che vuole i suoi soldi ha minacciato di dare ai bambini con i genitori inadempienti un panino vuoto e un succo di frutta, versione assai moderna del medievale pane e acqua. L’amministrazione comunale di Cavenago di Brianza – 6800 abitanti martellati dalla crisi – ha chiesto che i genitori che non pagano, vengano a prendersi il loro figlio all’una e lo riportino a scuola alle due e mezza, possibilmente già rifocillato. Per quelli che non pagano e non possono venirsi a prendere il figlio – o perché lavorano o perché un lavoro lo stanno cercando – il Comune e la scuola stanno pensando di costruire un locale separato dalla mensa dove gli alunni possano mangiare il cibo cucinato e portato da casa.
A Cavenago di Brianza questo locale l’hanno già battezzato «il ghetto». Oppure il muro «della schiscetta», come si chiama a Milano il «baracchino» con il cibo precotto a casa. I più cinici la chiamano invece la «stanza del buco di bilancio». Uno scandalo, si capisce. Una discriminazione bella e buona a cui il sindaco Sem Galbiati, 43 anni e orecchino casual, al secondo mandato con una giunta di centrosinistra, cerca a fatica di opporre il ragionamento: «Il regolamento delle Asl impone che nei locali della mensa non entri altro cibo se non quello cucinato dalla stessa mensa. In altri Paesi del Nord Europa fanno così. La nostra preoccupazione è che la mensa venga chiusa per tutti, rendendo impossibile il tempo pieno con i conseguenti disagi per tutti quanti».
Il fatto è che il Comune di Cavenago di Brianza versa già 22 mila euro all’anno per aiutare le famiglie in crisi che non riescono a far fronte alla refezione scolastica. Da 4 euro e 20 la retta per il secondo figlio scende di altri 10 centesimi. Per il terzo si arriva a 3 euro e 69. Le due sorelline di origine siriana sfamate quel giorno dalle loro maestre hanno altri due fratelli, ma loro non pagano, i soldi ce li mette il Comune. Giura il sindaco: «È chiaro che ci sarà pure qualche furbetto che si “dimentica” di pagare la refezione. Ma quando 120 bambini su 600 sono inadempienti il problema è molto più grande. Noi possiamo poco. Dovrebbe essere la politica a dirci cosa fare».
Il fatto è che lo sa nessuno. Il direttore scolastico della scuola elementare Ada Negri, il professor Franco Maria Franci, non è in sede. La sua vice, la professoressa Polverini, fa sapere che non vuol parlare. Ma all’una davanti a scuola non c’è mamma che si trattenga dal commentare la guerra del panino. Una signora col maglioncino rosso in attesa del figlio che va alle medie si lamenta mica poco: «Mio figlio a mangiare lo porto a casa. Con 4 euro compero un chilo di pasta e pure il sugo. Ci sono giorni, mi ha detto, che in mensa gli danno solo una fetta di pizza e un frutto. Anche al bar spenderei 4 euro per un pranzo così». Una signora in tuta azzurra in attesa di due figli, uno alle elementari e uno alle medie, ammette di essere una di quelle che è in arretrato con la retta della refezione del figlio: «Io sono disoccupata, mio marito in cassa integrazione. Per sfamare a scuola i miei due figli dovrei spendere quasi 150 euro al mese. Non ce li ho. Chi me li dà? Vogliono fare la stanza per i bambini che si portano il cibo da casa? Facciano pure. Non mi scandalizzo. Il luogo dove mangiano i miei figli è davvero l’ultimo dei nostri problemi».
La Stampa 25.09.12