"Cina chiuso per rivolta", di Giampaolo Visetti
“Chiuso”. Questo avviso, in Cina, è incomprensibile. All’alba di oggi però la direzione Foxconn l’ha fatto affiggere, un francobollo rosso, sull’immenso cancello grigio dello stabilimento di Taiyuan, città-industria modello tra le montagne dello Shanxi. Una fabbrica sbarrata e inaccessibile, improvvisamente alla deriva nel silenzio e circondata dalla polizia privata del signor Terry Gou, magnate di Taiwan. Un evento economicamente inconcepibile: perché il cartello “chiuso” campeggia, come un vecchio certificato di malattia, sullo stabilimento- simbolo del successo di Pechino, icona della modernità globale. All’esterno solo gli agenti in divisa nera, armati e muti. Dentro, 80 mila operai nelle loro tute blu, consegnati nei dormitori e isolati dal mondo. Questo blindato carcere-fortezza, anonimo tra centinaia di altri capannoni senza insegne, è la fabbrica che produce l’oggetto più desiderato del pianeta: l’iPhone 5, l’ultimo telefono-gioiello a marchio Apple, capace di fondere Oriente e Occidente nell’attesa notturna davanti a uno “store”. Nessuno si sognerebbe mai, in Cina meno che ovunque, di fermare nemmeno per un secondo la catena di montaggio che muove ciò che resta del consumo sul pianeta. …