Una vita d’intimidazioni quella del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. L’ultima è di venerdì notte. Questa volta è un barcone che va a fuoco, uno di quelli che ha trasportato un po’ miracolosamente i migranti sulle coste italiane di Lampedusa. Non solo, uno di quelli dati in dono dalla Prefettura alla associazione culturale Askavuza, destinati alla realizzazione del museo dell’immigrazione. Un barcone simbolico, quindi, accompagnato da volantini eloquenti: «No ai clandestini liberi per l’isola u capisti? Alla prossima gruppo armato Lampedusa Libera». E di eloquente c’è soprattutto quell’interrogativo: «U capisti?» (l’hai capito?). Diretto a una persona specifica: il sindaco. Quella Nicolini i cui incendi improvvisi punteggiano il ritmo della sua attività politica, del suo impegno civico: l’officina del padre, il casotto di Legambiente di cui era direttrice, prima la jeep e poi il pulmino del marito. Un lungo curriculum di intimidazioni che vanno di pari passo con le lotte ambientaliste, ma non solo. E che però, visti i risultati, farebbe pensare che questa strana cinquantenne, sindaco da pochi mesi ma già vicesindaco ad appena 23 anni, di capire, non capisce.A incontrarla pare una siciliana qualsiasi, spensierata, generosa. Materna quando parla di migranti. Quando dice: «Ci auguriamo che gli sbarchi ci siano, che queste persone riescano ad arrivare sulle nostre coste… Per noi non sono numeri ma persone». Parole che sembrano un abbraccio, che però scatenano l’odio, tanto da essere definita nei commenti di un sito che riporta la notizia «mentalmente deviata. Le sue dichiarazioni sono da neuro e tendenzialmente criminali».
Questo il clima, il contesto in cui opera il sindaco di Lampedusa ma è un clima in cui vive quasi da sempre. Lei non ne vuol parlare, perché non ama apparire. La storia lunga delle sue lotte e intimidazioni la raccontano quasi di nascosto gli amici, i sostenitori. E va così: è già giovanissima impegnata in politica, nelle fila della federazione dei giovani comunisti italiani.
Pochissimo dopo, a soli 23 anni, viene nominata vice sindaco dal Professore Giovanni Fragapane, in un’amministrazione Pci. Ed è proprio lei a reggere il Comune di Lampedusa dall’83 all’84, dopo l’attentato subito dal suo sindaco, un accoltellamento che lo ridusse in fin di vita. È questo il periodo di formazione che la porterà via via a restistere a incendi e minacce e vincere ogni battaglia. Dall’abolizione dell’ecomostro voluto da Sindona, alla fuga della Valtur da spiaggia dei conigli, ottenendo che fosse dichiarata riserva naturale.
Ma la lotta per spiaggia dei conigli era ancora all’inizio. Ed è proprio per salvare quel pezzo di paradiso che la vita della Nicolini fu iniziata agli «incendi». Il percorso è tutto in discesa ma pare in salita. Più si va giù a piedi, più sale il senso di stupore, di meraviglia. Alla spiaggia dei conigli, a Lampedusa, si arriva così. Una spiaggia caraibica, un mare che regala trasparenze da sogno. Non è un caso se le tartarughe marine scelgono questo scorcio di mondo per depositare le uova. Ma prima che Giusi Nicolini diventasse direttrice della riserva naturale per Legambiente, nel ’97, la spiaggia è un inferno di chioschi e lidini. Preda del commercio e della fruizione più selvaggia. Già dall’acqua, sui barconi, in questo paradiso naturale, si vendono panini e bevande. Si violenta la natura. Per questo la direttrice della riserva subisce il primo attentato, l’incendio dell’officina da fabbro del padre. Davanti alla quale viene posta anche una corona funebre come segno intimidatorio. Ma lei prosegue. E la prefettura di Agrigento, competente per Lampedusa, le dà ragione. A sostenerla sarà il prefetto Giosuè Marino che ordinerà lo sgombero della spiaggia. Ma gli appetiti dei commercianti dell’isola non sono deboli. Nessuno si smuove di lì. Nessuna ditta dell’isola si rende disponibile per lo sgombero. L’amministrazione non la sostiene. Nel frattempo viene incendiata anche la sede di Legambiente. Così, questa donna, mingherlina, giovanissima ancora «non capisce», anzi, s’illumina di creatività. E spiaggia dei conigli si tinge di giallo. Bussa sulle spalle dei turisti, uno per uno, regalando gli ombrelloni di legambiente, spiegando che pagando i chioschisti supportovano l’illegalità sulla spiaggia. Gesto che manco a dirlo ha prodotto altri incendi, alla macchina, al pulmino dell’allora fidanzato, oggi marito, Peppino Palmeri esponente del Pd, già allora membro dell’opposizione in consiglio comunale. E sarà un tale braccio di ferro che la prefettura di Agrigento si vedrà costretta a inviare un rinforzo di polizia sull’isola e ad impiegare addirittura l’aeronautica per sgomberare la spiaggia. Ora, sindaco dell’isola siciliana dallo scorso maggio, sostenuta anche dal Pd, chiede lo sgombero di chioschi anche sulle altre spiagge e parla di migranti come una mamma. Proprio non «capisce». E con lei l’associazione Askavuza. A spalleggiarli, il Pd. Ermete Realacci, responsabile di Green economy del Pd ha annunciato un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Interni, per assicurare la tutela e la sicurezza del sindaco ma anche delle associazione e, soprattuto, dei migranti.
L’Unità 25.09.12